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Pop/Rock un anno dopo
Un quaderno di conversazioni

 

Eugenio Finardi

con Luigi Marzola


Eugenio Finardi, cantautore, chitarrista, arrangiatore e pianista, può essere considerato uno dei musicisti più apprezzati del rock e pop d'autore italiani.

****************

Dal 2017 è istituito con decreto ministeriale il corso di diploma accademico in musica Pop-Rock, titolo di I livello. Sarà un matrimonio felice? In che modo è possibile dare uno statuto "accademico" a fenomeni culturali che sono in corso, e in continua evoluzione?

Domanda complessa. La musica che non chiamo popolare ma generazionale cerca volutamente di staccarsi da tutto ciò che è accademia, dal passato. Oppure cita cose del passato, ma per cambiarne il senso, lo scopo. Il fatto che il Conservatorio si sia aperto al pop e al rock ha a che vedere con un’esigenza evidentemente avvertita dall’istituzione, ma segnala anche che il rock e il pop si sono in un certo senso classicizzati. Il rock ha ormai 60 anni, si può considerare “musica classica”, come del resto John Cage oggi è un moderno di un determinato periodo ma non certo un contemporaneo. Quindi si può rendere oggetto di un insegnamento accademico il rock “come era fatto”.

Invece non penso che l’accademia riuscirà mai a raggiungere l’avanguardia, il presente: in un certo senso, non si può fare per definizione. Comunque è importante che il Conservatorio non si chiuda in un rifiuto di ogni musica “altra” o scritta dopo il, o scritta solo da, e si renda istituzione aperta a insegnare, a riconoscere, a dare valore alle novità anche estreme.


E’ un po’ quello che è successo a suo tempo con il jazz.

Esatto. Molti miei compagni di musica – Attilio Zanchi, Gaetano Liguori e tanti altri – hanno insegnato, e con profitto, in Conservatorio. Il jazz, appunto, è diventato musica classica.


Fino a un certo punto, la formazione di uno strumentista in Conservatorio è stata per così dire universale, trasversale rispetto agli stili e ai linguaggi. Dall’istituzione del corso di jazz, e oggi con quello di pop-rock, si introduce invece un ambito stilistico circoscritto. Lei pensa, per dirla in altre parole, che il musicista formato in Conservatorio dovrebbe comunque avere una formazione classica di base?

In generale direi di sì, ma distinguerei per strumento. Da un chitarrista pop-rock non mi aspetto necessariamente che debba saper suonare Scarlatti trascritto da Segovia. Ma nel pop il pianista è quello che fa tutto. Mi aspetto che abbia una preparazione classica. Che sia in grado di leggere una partitura almeno al livello di un ottimo accompagnatore di classica. L’eventuale preparazione pop-rock, che oggi significa anche la competenza sui programmi elettronici di uso più corrente, dovrebbe essere un’aggiunta allo studio classico. Faccio anche l’esempio del basso: una volta che uno abbia studiato il contrabbasso, il basso viene un po’ di conseguenza: si tratta di tecniche, che si possono imparare.


Il Conservatorio arriva buon ultimo al pop-rock: esistono molte altre scuole, fra le quali alcune – per esempio il CPM – hanno avuto il riconoscimento ministeriale del titolo erogato. Che differenza c’è, o ci dovrebbe essere, in questo ambito musicale, fra il Conservatorio e le altre scuole?

Il CPM lo conosco bene ed è un luogo dove vado a cercare nuovi talenti, e ne ho trovati. E’ una scuola serissima, dove insegnano gli attuali professionisti di “quella” musica di cui parliamo. Lei mi chiede della differenza con il Conservatorio. Il CPM è un luogo di aggregazione, come una volta era anche il Conservatorio: oggi forse lo è un po’ meno, per un insieme di ragioni fra cui certamente esigenze di sicurezza, problemi burocratici, lo stesso ordinamento in Triennio, con i suoi vincoli anagrafici.

Su questo in particolare sono un po’ perplesso, penso che un musicista vero lo è anche da bambino, o da ragazzino. Del resto, Pergolesi è morto a 26 anni. Se uno è “condannato” - perché essere musicista in qualche modo è una condanna – lo è da sempre. Siamo condannati anche perché sentiamo la musica in modo diverso dagli altri, e non possiamo nemmeno spiegarglielo. Mi ricordo che mio padre, ottimo tecnico del suono e amante della musica, non comprendeva perché io mi commuovessi a sentire l’adagio del Concerto k466 di Mozart. “Ma se non ci sono le parole...” si meravigliava: non poteva capire come i soli suoni mi muovessero alle lacrime. Lì ho capito la differenza fra un amante della musica, e un musicista. E essere musicista ti “costringe” a entrare nella musica molto presto.

Così anche ai Conservatori ho “rubato” un po’ di musicisti: erano pronti, anche se non avevano ancora raggiunto il diploma. E molti di loro, senza far nomi, di strada ne hanno fatta…

Ma ripeto, la base classica è imprescindibile.


Posso chiederle qualcosa della sua formazione musicale?

La mia formazione è un po’ osmotica. Sono figlio di una cantante lirica, che insegnava canto, e imparavo anch’io. Ero abbonato alla Scala a 8 anni. Giulio Confalonieri era amico dei miei, e da bambino ho conosciuto la Sutherland e la Callas. Però a 13 anni non sono riuscito a entrare in Conservatorio. La mia maestra mi aveva fatto preparare brani del Mikrokosmos di Bartòk. Io mi sono preparato da solo d’estate, negli Stati Uniti a casa di mia nonna. Da bambino, seguendo mia madre, avevo ascoltato prevalentemente musica barocca (mentre mio padre ascoltava più musica romantica). Comunque non avevo mai sentito nulla di atonale, di politonale eccetera. Cominciai a studiare il Mikrokosmos e a correggere tutto quello che sembrava “sbagliato” al mio orecchio. E le “correzioni” le misi a china. Così mi presentati all’esame con il mio Mikrokosmos riscritto – a 13 anni ero ancora un fiolèt – e fui cacciato con ignominia. Lì è finita la mia carriera di pianista, e ho cominciato a studiare la chitarra. Ho anche studiato un po’ alla Civica, ma resto un musicista “ignorante”, o se vuole un musicista completamente istintivo.

Però ho dentro delle radici classiche. Per esempio, posso sentire qualunque musica e dire con certezza l’epoca, l’area culturale, magari l’autore. Perchè amo profondamente la musica classica; e amo i classici contemporanei. Tenendo conto che alcune cose stanno “diventando classiche”, così come altre si stanno perdendo (senza contare i ritorni, le citazioni ecc.).


Una considerazione conclusiva?

Provo a questo punto a sintetizzare. Il Conservatorio non potrà mai insegnare il limite, il fronte del nuovo. E’ impossibile insegnare la tecnica di ciò che sta nascendo, che spesso usa tecniche nuove inaudite, delle quali spesso lo stesso protagonista è inconsapevole. Ma è possibile insegnarne l’ascolto. Si potrebbe “aprire” il Conservatorio alla decrittazione delle nuove tecniche. Al loro riconoscimento, alla comprensione e alla discriminazione del loro valore. L’universo della musica è vastissimo – basti pensare alla World Music, alle tradizioni latinoamericane che hanno secoli di vita. Prima di suonare occorre ascoltare. Forse il Conservatorio dovrebbe organizzare corsi di ascolto, fornendo gli strumenti – armonici, analitici e quant’altro – per un ascolto consapevole di tutta la musica, di tutti i generi.

Gennaio 2019

 

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