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INTERVENTI


Intorno a un articolo di Alex Ross sul Guardian

E' la sala da concerto il luogo per capire?

di Lorenzo Ferrero
compositore


 

Nel botta e cortese risposta Ross-Baricco si sovrappongono due aspetti che ben farebbero a rimanere separati. Ovvero l'esistenza di un pubblico della musica classica idiosincratico, che non ama né i moderni né gli antichi, ma solo un percorso artistico di un paio di secoli e relativi riti (concerto ben seduti, silenzio in sala, applauso compunto alla fine), e il rapporto del pubblico in generale con la modernità in musica.

Le due cose stanno difficilmente insieme. Il primo gruppo è difficilmente recuperabile, ma ha anche tutto il mio democratico rispetto: l'oggetto del suo amore è anche il mio, ci mancherebbe, non toglietemi Beethoven. Il secondo gruppo, come osserva giustamente Baricco, non esiste. Ovvero non ha luoghi, occasioni pubbliche dove manifestare il proprio gusto per altri tipi di musica, se non accontentandosi di essere una nicchia della più diffusa offerta classica. Offerta che però sta perdendo colpi, sta aumentando di età media, e da tempo cerca di arrivare ad una offerta più variegata, includendo il pop raffinato, qualche jazzista, e qualche contemporaneo "à la page". Il fenomeno si osserva anche nella scelta dei programmi di molti interpreti più giovani. Molti festivals rappresentano un'eccezione rispetto alle "stagioni" e sono caratterizzati da maggior eclettismo, che sembra in effetti incontrare il maggiore favore del pubblico più generale.

Verrebbe poi da chiedersi se oggi come oggi il luogo per capire sono le sale da concerto. Il rapporto fra musica contemporanea e musica classica in senso stretto, sulla gigantesca piattaforma YouTube è molto più favorevole alla prima, e tale favore è assolutamente il frutto di libere scelte. Figuriamoci se, come osserva Baricco, ci fosse l'aiuto di un po' di marketing. Non so poi se sono io ad andare sempre nei posti sbagliati, ma alla musica contemporanea che piace a me c'è sempre molto pubblico e gli applausi equivalgono a quelli di un buon classico-romantico.

E questa banale constatazione porta alla domanda proibita: quale musica contemporanea? Assolutamente non, va detto con chiarezza, quella che con incredibile e paradossalmente antistorica arroganza si è attribuita il ruolo di erede della musica classico-romantica. Per la semplice ragione che ha lavorato su delle macerie, ovvero qualcosa di simile alla spazzatura, e chi la vuole la spazzatura? Lo dico con tutto il rispetto per la travagliata stagione di una parte del Novecento dove forse appigliarsi ad un ancora di salvezza qualsiasi era inevitabile, per resistere all'orrore di milioni di morti, di guerre e olocausti. Per il compositore, ma non necessariamente per il pubblico. Il pubblico vuole una musica che parli a lui, non di fantasmi, che sia il riflesso del mondo in cui vive, non dell'armonia del tal dei tali portata alle estreme conseguenze in qualche laboratorio. E il mondo in cui vive è un mondo di stimoli più orizzontali che verticali, più geografici che storici, e la capacità del compositore "classico" dev'essere quella di offrirne una sintesi, personale ma condivisibile, un'offerta di provvisorio ordine al caos acustico, un cammino che può essere percorso fianco a fianco coi propri contemporanei, riconoscendoli come propri simili.

febbraio 2011

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