I quaderni della riforma/Strumentisti
Le risposte di
GIOVANNI BATTISTA RIGON
Diploma in
pianoforte con il massimo dei voti e la lode, studi con Canino e Demus
(pianoforte), De Rosa e F. Rossi (musica da camera). I premio a Parigi (Roussel)
e Firenze (Gui). Pianista del Trio Italiano per 15 anni, con concerti per le
principali istituzioni italiane e all'estero, incisione (Arts) integrali di
Beethoven, Schubert, Schumann. Dal 2003 si dedica solo alla direzione
d'orchestra: inaugura due volte Martina Franca, con prime riprese de I
Giuochi di Agrigento (Paisiello) e de Il re pastore
(Piccinni). Fonda le Settimane Musicali di Vicenza, nel cui ambito dirige
versioni inedite de L'italiana in Algeri, de Il barbiere di Siviglia,
de Il turco in Italia. Il Corriere della sera lo definisce “uno dei
migliori direttori rossiniani su piazza, artefice di un suono agile e grintoso,
che non stanca”. Insegna Musica da camera al Conservatorio di Padova.
Molti fra i fautori della riforma consideravano
necessaria una migliore formazione musicale dello strumentista al di là dello
studio dello strumento, più di quanto fosse previsto dall’ordinamento del 1930.
I nuovi percorsi comprendono dunque armonia, analisi, storia, e la presenza di
Teoria della musica e di Esercitazioni corali anche nel periodo superiore. Qual
è la tua opinione in proposito?
Trovo che sia certamente un fatto positivo. Credo che l'ordinamento del 1930
mirasse a formare un musicista con cultura e apertura mentale piuttosto
limitate. Più in generale, trovo che anche a livello pre-universitario, sia
singolare che uno strumentista sia costretto, per avere un minimo di
preparazione culturale generale, alla frequenza contemporanea di due scuole
(Conservatorio e Liceo, per esempio). Al di là della singolarità del sistema
italiano, credo che il problema di base sia che l'apprendimento “artigianale” di
uno strumento – specialmente ai livelli competitivi di oggi – richiede, oltre al
talento, anche tantissimo tempo: come conciliare questo con la necessità di
avere orizzonti culturali non limitati? Forse cercando di discernere
precocemente tra differenti tipi di “percorso” (indirizzo concertistico,
orchestrale, didattico)?
Il nuovo assetto didattico prevede che la
competenza dell’insegnamento dello strumento si articoli su più discipline. Per
esempio: Prassi esecutive e repertori (che è il vero e proprio insegnamento
dello strumento), Metodologia dell’insegnamento strumentale, Trattati e metodi,
Letteratura dello strumento, Fondamenti di storia e tecnologia dello strumento,
Tecniche di lettura estemporanea, Improvvisazione allo strumento.
Tutte queste discipline – o meglio quelle che ogni istituzione sceglierà – sono
di competenza dei docenti dello strumento “principale”. Tuttavia è prevedibile
che lo studente le studi sotto la guida di diversi docenti dello stesso
strumento.
Come vedi questa articolazione su più discipline della competenza strumentale?
E come vedi l’ipotesi che i tuoi studenti studino altri aspetti dello strumento
con altri colleghi docenti dello stesso strumento?
Credo sia necessario molto equilibrio. Da un lato è certamente positivo il fatto
che l'articolazione su più discipline permetta di approfondire aspetti – come la
lettura estemporanea, o la storia e tecnologia dello strumento – che
tradizionalmente sono lasciati all'iniziativa del singolo. Trovo anche positivo
il fatto che lo studente possa venire in contatto con più docenti, potendo
dunque “ricavare” il meglio da ciascuno di questi ed evitando di sclerotizzarsi
su particolari aspetti – o “manie” – di ogni singola “scuola di pensiero”
didattica. D'altra parte, lo studente ha anche necessità di solide basi di
lavoro, non può essere lasciato del tutto a sé stesso di fronte alle
problematiche dello strumento. Ci deve essere, a mio avviso, sempre un docente
“di riferimento” che si faccia carico, si prenda la responsabilità, della
formazione anche in senso più tradizionale ed “artigianale” dello studente.
Uno dei motivi di diffidenza da parte di non pochi
docenti di strumento verso il curricolo dell’alta formazione è il timore che lo
studio dello strumento possa perdere la centralità che ha nell’ordinamento del
1930.
Condividi questa proccupazione? Se sì, pensi che questo rischio possa essere
ridotto dalle singole istituzioni nella fase di definizione del proprio
curricolo locale?
Come ho già detto, credo sia importante capire piuttosto presto “cosa uno vuol
fare da grande”, cioè permettere – e/o consigliare – ad ogni studente la scelta
del percorso didattico a lui più congeniale, al suo talento, al suo carattere,
alle sue aspirazioni. Penso sia inutile torturare con ore e ore di studio sullo
strumento una persona che poi nella vita farà tutt'altro (il musicologo,
l'insegnante, il compositore di jingle pubblicitari). D'altra parte, dobbiamo
prevedere anche percorsi di alto perfezionamento – non troppo tardivi – per i
soggetti particolarmente “talentuosi” che dovranno confrontarsi magari in
concorsi internazionali con un livello sempre più elevato e competitivo. Il
problema è capire se saremo in grado di prevedere percorsi sufficientemente
articolati ed intelligenti: personalmente, per esempio, mi sentirei del tutto
impreparato a suggerire curricula formativi nell'ambito della musica “non
colta”, anche se sono fortemente convinto che sia necessario crearli.
La musica da camera assume
nel curricolo un ruolo che non vi aveva nell’ordinamento del 1930. Sia come
quantità, sia per la regolare verifica con esami.
Come giudichi questa innovazione dal punto di vista del docente di strumento (se
questo è il tuo caso) e da quello del docente d’insieme (se questo è il tuo
caso)? Potranno generarsi delle “contese territoriali”?
Insegno musica da camera, e in questo ambito ho svolto buona parte della mia
attività anche concertistica: è evidente che non posso che essere favorevole ad
un maggior peso di questa disciplina nell'ambito del curricolo formativo. Ma al
di là della mia personale esperienza, credo veramente che la musica d'insieme
sia altamente formativa, permetta ad ognuno di uscire dai limiti, anche
“mentali”, del proprio strumento, di imparare a “respirare” insieme ad altri
facendo musica. Anche qui, non credo dovrebbero crearsi “contese territoriali”,
il nostro intento deve essere sempre quello di guardare all'interesse dello
studente, che non è una proprietà di questo o quel docente o di questa o quella
“scuola”. Devo dire che la mia esperienza al Conservatorio è positiva, si
possono creare sinergie positive tra docenti, nell'interesse degli studenti.
Pensi che le convenzioni fra Conservatori e Licei
per dar vita ai nuovi Licei musicali possano comportare un rischio di
“secondarizzazione” dei Conservatori, o portare a modificare in qualche modo lo
stato giuridico dei docenti?
Non lo so, sinceramente. Egoisticamente parlando, ognuno di noi vorrebbe
insegnare nella “fascia superiore”, è evidente. Ma anche qui, se guardiamo
all'interesse degli studenti e all'equilibrio complessivo del sistema, ha senso
chiudersi in difese corporativistiche? Un sistema formativo equilibrato e
completo deve prevedere varie fasce di livello di istruzione, e tutte devono
rispondere a criteri di professionalità che permettano agli studenti di “avere
il massimo”. D'altra parte, se noi docenti “universitari” della musica non
iniziamo ad interessarci anche a quello che avviene “a monte” del Conservatorio,
ci sarà un futuro per le nostre istituzioni e per la musica in Italia?
Altro?
Desidero solo segnalare l'esperienza molto positiva che ho personalmente tratto
dall'insegnare ai corsi di formazione per docenti delle scuole medie ad
indirizzo musicale (A77). Ho trovato studenti molto motivati, spesso buoni
strumentisti, con grande disponibilità e vicinanza verso la realtà
dell'istruzione musicale di base. Saranno questi futuri docenti a creare le basi
dei professionisti e del pubblico di domani.
(marzo 2010) |