I quaderni della riforma/Strumentisti
Le risposte di
OSCAR MEANA
Insegnante
di Fagotto nei Conservatori di Parma (1977) e Milano (dal 1980). Attività
orchestrale, cameristica, dal 1968. Casa della Cultura di Milano (1984/94).
Molti fra i fautori della riforma
consideravano necessaria una migliore formazione musicale dello strumentista al
di là dello studio dello strumento, più di quanto fosse previsto
dall’ordinamento del 1930. I nuovi percorsi comprendono dunque armonia, analisi,
storia, e la presenza di Teoria della musica e di Esercitazioni corali anche nel
periodo superiore.
Qual è la
tua opinione in proposito?
Sono stato e sono contrario a
questa ‘riforma’. L’ordinamento del 1930 normava tutto il percorso
didattico dello studente (anche se in un passato più remoto il giovane musicista
approdava in Conservatorio con sufficiente bagaglio musicale), questo intervento
si occupa solo e preliminarmente, cioè non organicamente, del momento finale
della formazione del musicista. Sono del tutto convinto che sia ..” necessaria
una migliore formazione musicale dello strumentista al di là dello studio dello
strumento, più di quanto fosse previsto dall’ordinamento del 1930. I nuovi
percorsi comprendono dunque armonia, analisi, storia, e la presenza di Teoria
della musica e di Esercitazioni corali ….“. Sono percorsi
fondamentali e sarebbero dovuti essere resi efficaci ed obbligatori nella
preparazione primaria dello strumentista. Inseriti così, al termine della
‘formazione’, sono altra cosa e determinano altro ordinamento.
Il nuovo assetto didattico
prevede che la competenza dell’insegnamento dello strumento si articoli su più
discipline. Per esempio: Prassi esecutive e repertori (che è il vero e proprio
insegnamento dello strumento), Metodologia dell’insegnamento strumentale,
Trattati e metodi, Letteratura dello strumento, Fondamenti di storia e
tecnologia dello strumento, Tecniche di lettura estemporanea, Improvvisazione
allo strumento.
Tutte queste discipline – o meglio quelle che ogni istituzione
sceglierà – sono di competenza dei docenti dello strumento “principale”.
Tuttavia è prevedibile che lo studente le studi sotto la guida di diversi
docenti dello stesso strumento.
Come vedi questa articolazione su più discipline della competenza strumentale?
E come vedi l’ipotesi che i tuoi studenti studino altri aspetti dello strumento
con altri colleghi docenti dello stesso strumento?
Sembra essere un processo,
nominalmente, fantastico.
I miei allievi sono da me consigliati, da sempre, di seguire ed inseguire altri
strumentisti; talvolta se ne possono opportunamente invitare qui da noi, nei
Master. Naturalmente se si ha in mente un processo didattico coerente, si
scelgono i musicisti ai quali affidare i propri studenti.
Uno dei
motivi di diffidenza di una parte di non pochi docenti di strumento verso il
curricolo dell’alta formazione è il timore che lo studio dello strumento possa
perdere la centralità che ha nell’ordinamento del 1930.
Condividi questa preoccupazione? Se sì, pensi che questo rischio possa essere
ridotto dalle singole istituzioni nella fase di definizione del proprio
curricolo locale?
Non so se abbia senso parlare
di centralità dello strumento per chi intraprende motivatamente ed
esplicitamente un percorso strumentale. Il fatto è che lo strumento, nel 1930
come anche oggi, è, dovrebbe essere, quell’arnese/utensile/strumento
appunto, per mezzo del quale si vive la musica. L’utilizzo dello strumento, il
perfezionamento della tecnica necessaria ed indispensabile al suo dominio non
può essere disgiunta, come ben sapevano gli ‘antichi’ dall’elaborazione di
pensieri riflessioni, ricerche e approfondimenti strutturalmente e totalmente
musicali, senza i quali la pura e semplice ginnastica non ha molto senso. Ma, se
si sa come fare, lo strumento ben studiato e nei tempi dovuti, svela buona parte
di quel che va saputo della musica. Anzi, penso proprio che uno strumento ben
studiato dia conto ai vari momenti teorici di buona parte dei loro significati.
Uno strumentista,
nell’accezione seria, e tenuto conto di cosa il mondo musicale richiede, deve
essere (poter diventare) un eccellente strumentista o non è nessuno.
La
musica da camera assume nel curricolo un ruolo che non vi aveva nell’ordinamento
del 1930. Sia come quantità, sia per la regolare verifica con esami.
Come giudichi questa innovazione dal punto di vista del docente
di strumento (se questo è il tuo caso) e da quello del docente d’insieme (se
questo è il tuo caso)? Potranno generarsi delle “contese territoriali”?
La musica da camera è, non per
definizione, ma spesso, musica eccelsa. È bene che la si pratichi.
In una istituzione che vuole essere ai vertici dei valori formativi, tutte le
pratiche di insieme hanno valore solo se ognuno dei praticanti porta il suo
bagaglio di qualità positive assommandole a quelle altrui, concorrendo alla
realizzazione concreta di quei lavori. Se c’è sufficiente qualità strumentale la
cosa avviene, altrimenti, la somma delle debolezze di ognuno dà vita ad
esperienze mediocri e più che inutili, dannose, sia esteticamente che, anche,
eticamente.
In sintesi, tutta la
discussione pluriennale, interminabile, su cosa debba essere fatto, in forma
tassativa, dogmatica e obbligatoria; la vaghezza sul come le cose effettivamente
strutturali e soprattutto vitali da fare, andrebbero fatte; la nessuna verifica
su chi queste cose deve farle e se sa farle, mentre afferma di voler
trasformare, riformare, la vecchia scuola d’Arte in una moderna e
luccicante fabbrica sta piuttosto prefigurando il suk multimarket. Dove
naturalmente informazione e produzione possono tranquillamente soppiantare la
formazione.
Pensi che
le convenzioni fra Conservatori e Licei per dar vita ai nuovi Licei musicali
possano comportare un rischio di “secondarizzazione” dei Conservatori, o portare
a modificare in qualche modo lo stato giuridico dei docenti?
Non mi sembra un argomento serio. I docenti, gli attuali docenti, sono entrati
in ordinamento scolastico con le funzioni previste dalle normative del ‘vecchio’
Conservatorio, che sono sicuramente compatibili, pur nelle loro specificità, con
quelle dell’insegnamento secondario. Se rischio c’è stato, è proprio quello di
aver ‘accademizzato’ ope legis lo stato giuridico dei docenti, senza
nessun adeguamento accademico previsto.
(febbraio 2010) |