Eros Roselli, Musica e Conservatori
Come superare una crisi di sistema?
di Sergio Lattes
In un breve lasso di tempo la non vasta
letteratura sui Conservatori di musica italiani si è arricchita di due titoli:
Diventare musicista di Clementina
Càsula (già recensito qui>>),
e questo Musica e Conservatori, Come superare una crisi di sistema?
di Eros Roselli.
Sarebbe
difficile immaginare due libri più diversi. Per la mole (450 pagine in corpo
molto piccolo il libro di Càsula, 150 in corpo piuttosto largo quello di Roselli).
Per il taglio: l’uno è un’estesa indagine sociologica, corredata di ampia
bibliografia, e composta con scrupolo scientifico che tiene ben separato il
momento dell’analisi da quello del giudizio, fino al capitolo finale dove
l’autrice scopre il suo punto di vista; l’altro, un pamphlet appassionato
scritto da una persona estremamente “interna” all’ambiente dei Conservatori
(docente, è stato anche direttore) sotto l’urgenza di molte domande, riassunte
nella domanda capitale: che fare?
Ma un
altro punto unisce e divide insieme le due opere. Le unisce il riconoscere come
discorso-chiave l’orientamento dei Conservatori, tuttora attivo, verso un
modello didattico ideale quasi unico: quello finalizzato alla formazione
dell’interprete-concertista. Con il corollario di una didattica particolarissima
fondata sul rapporto uno-a-uno fra docente e allievo, sulla predominanza dello
strumento che prima si chiamava “principale” e ora “caratterizzante” su tutte le
altre discipline, sulla trasmissione delle competenze attraverso la mimesi più
che sulla comunicazione verbale/scritta, su un rapporto conseguentemente
strettissimo fra docente e studente - fino alla trasformazione della relazione
didattica in una sorta di “proprietà” dello studente (meglio, allievo) da parte
del docente.
Divide
le due opere – e con questo terminiamo il confronto – il diverso atteggiamento
dei due autori nei confronti di questa tradizione didattica, e nei confronti
della riforma del 1999. Che, pur incompleta e zoppa, quella tradizione didattica
in qualche misura ha messo in discussione, se non in crisi. Càsula ritiene che
il vecchio modello avesse una sua logica interna, certamente da rivedere e
aggiornare, e che invece la riforma simil-universitaria abbia introdotto nel
Conservatorio logiche ad esso estranee, che in definitiva – almeno per i profili
tradizionali, molto meno per quelli “moderni” - ne hanno fatto perdere la
“personalità istituzionale”.
Roselli invece è un entusiasta
sostenitore della riforma in senso “universitario”, e tutta la sua
argomentazione è protesa a criticare le resistenze che ancora fittamente si
registrano nei Conservatori alla compiuta accettazione della “rivoluzione” del
1999, e a superare le molte difficoltà generate dalla incompleta, discontinua,
renitente gestione della legge 508 e dei suoi provvedimenti attuativi da parte
dell’autorità politica e della dirigenza ministeriale.
Ho usato il termine pamphlet
per sottolineare l’urgenza appassionata con cui Roselli denuncia i problemi e si
sforza di indicare vie d’uscita. Ma per altri versi il libro è anche un
instant book perché ricostruisce con precisione il labirinto di leggi,
di documenti parlamentari, di provvedimenti ministeriali dai quali i
Conservatori sono stati investiti dopo la riforma (spesso senza che si potesse
intravvedere un disegno organico) fino al momento stesso dell’andata in stampa
del libro (2018). Il quale quindi nei confronti di quel labirinto si pone anche
come utile guida.
Due sono gli assi portanti
della visione di Roselli. Il primo è che i Conservatori debbano definitivamente
e completamente rinunciare a farsi carico della formazione pre-accademica. Molte
sono oggi le agenzie formative che intervengono su
questa fascia dell’insegnamento: scuole private, scuole civiche, scuole medie a
indirizzo musicale, liceo musicale. Il Conservatorio dovrebbe sapersi fare punto
di raccordo e di coordinamento per questi soggetti, allo scopo di assicurare la
continuità e la coerenza del curricolo verticale degli studi musicali, anziché
pretendere di mantenere al proprio interno tutto il percorso formativo – come
tuttora molti docenti appaiono preferire.
Interessante in particolare il dato, non particolarmente noto, che meno di un
terzo degli studenti che accedono agli studi accademici nei Conservatori
proviene dai corsi preaccademici dei Conservatori stessi. Si direbbe quindi che
la necessità del “ciclo unico” all’interno di una medesima istituzione (e magari
di una medesima classe) sia nei fatti già ampiamente superata.
La
persistenza della fascia pre-accademica nel Conservatorio produce inoltre, e
Roselli lo sottolinea efficacemente, un paradossale effetto di cannibalismo
saturnino: i maestri, continuando a insegnare in Conservatorio agli allievi non
accademici, impediscono ai propri diplomati di trovare lavoro nelle scuole
esterne ove questo insegnamento potrebbe svolgersi.
Questa
resilienza del pre-accademico rende infine problematica la comprensibile - e a
giudizio di Roselli non irrealistica - aspirazione dei docenti di Conservatorio
a una collocazione giuridica e salariale di tipo pubblicistico, affine a quella
universitaria, in sostituzione dell’attuale collocazione in un rapporto di
lavoro regolato da un contratto collettivo e da accordi sindacali.
Uno dei
principali ostacoli al “ritiro” dei Conservatori nella sola fascia
“universitaria” è l’alto numero di ore che i docenti dedicano agli allievi di
fascia preaccademica. e di conseguenza il possibile esubero di docenti
all’abbandono di tale fascia. Roselli ritiene che questo ostacolo sia superabile
attraverso quello che è il secondo asse portante della sua visione.
Per illustrare questo secondo asse della sua filosofia,
egli parte dalla constatazione che un’altissima percentuale degli studenti dei
Conservatori (cita il 90 per cento) frequenta percorsi formativi orientati
esclusivamente verso un profilo professionale di interprete/concertista. Questa
circostanza poteva avere senso finché i Conservatori erano poco più delle dita
di una mano. Oggi i Conservatori e istituti assimilati sono quasi 80, e
contemporaneamente orchestre, teatri musicali, associazioni concertistiche sono
sul piano inclinato di una riduzione delle risorse e del personale che sembra
inarrestabile. Evidentemente quel modello didattico e il relativo profilo
professionale in uscita risultano insostenibili.
La via d’uscita che egli vede e
fortemente sostiene è quella della differenziazione degli indirizzi, riducendo
drasticamente il numero degli studenti che seguiranno quello concertistico,
riservato ai pochi veri talenti. E allargando invece, altrettanto drasticamente,
il ventaglio dell’offerta formativa in direzione delle molte professioni che in
varia misura presuppongono competenze musicali. A questo proposito Roselli fa
leva sul documento prodotto da Istat nel 2013 e intitolato
La classificazione delle professioni (>>).
In questo documento si trova una classificazione universale delle professioni
nel nostro Paese, accompagnata dall’avvertenza che il quadro è in continua
evoluzione.
Fra queste professioni Roselli
ne individua molte che comprendono anche
competenze musicali, e denuncia la circostanza che, in assenza di iniziative dei
Conservatori su questo terreno, esso viene crescentemente occupato da iniziative
delle Università. Che però producono professionisti meno qualificati sul piano
propriamente musicale. L’allargamento dell’offerta formativa dei Conservatori a
tutto il ventaglio di profili relativi alle professioni che comprendono
competenze musicali consentirebbe di assorbire l’eccesso di ore/docenza che oggi
rifluisce nella fascia preaccademica.
In più egli introduce una proposta assai suggestiva,
quella di costituire, a cura del sistema dei Conservatori, un osservatorio che
monitori l’evoluzione delle professioni che hanno un contenuto musicale, per
offrire ai Conservatori stessi uno strumento utile a orientare la programmazione
dei profili formativi. Cosa che, fra l’altro, creerebbe una cooperazione fra
istituzioni che, salvo alcune eccezioni, sarebbe del tutto inedita.
Oltre ai due capisaldi
descritti, molti altri sono gli argomenti toccati da Roselli, fra i quali
vogliamo citare almeno quello della governance
degli istituti, dove vengono esaminate con schiettezza le torsioni provocate da
un meccanismo puramente elettivo del direttore e del consiglio accademico –
senza alcuna reale verifica delle idoneità a ricoprire tali cariche. E così pure
vengono analizzati i punti di contrasto d’interessi fra docenti e istituzioni, e
la conseguente difficoltà a “mettere lo studente al centro” secondo i dettami
dei documenti europei sull’alta formazione. Pure molta attenzione viene dedicata
all’ipotesi di ricomprendere i Conservatori in Politecnici delle arti, postulata
in documenti parlamentari recenti, oltre che nella stessa legge 508.
A
un’opera così concepita sarebbe ingeneroso chiedere un carattere sistematico che
non è nella sua natura e nel suo scopo – anche se sarebbe stato comunque utile
per il lettore che le numerose citazioni sparse nelle note al testo rinviassero
alla fine a una bibliografia e a una sitografia; e magari a un indice dei nomi.
Così pure, si può osservare che lo slancio morale e civile, che in definitiva è
il sale dell’opera, spinge l’autore ad alcune ingenuità retoriche (forse anche
controproducenti) come quella di riferirsi costantemente alla Musica, con la M
maiuscola. Una passione morale che gli fa onore ma certo non basta in sé a
intaccare la misera collocazione della musica nella gerarchia di valori
prevalente nella società italiana, e nella sua classe dirigente, che giustamente
l’autore a più riprese stigmatizza.
____________
Eros Roselli, Musica e
Conservatori, Printed
in Germany by Amazon Distribution GmbH, 2018, pag. 152, ISBN 97819809-9937-9
ottobre 2018

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