Dove va l'alta formazione
musicale?
Superare i particolarismi, fare rete per un unico "ecosistema musicale"
Colloquio con Andrea Melis, direttore della Civica Scuola di Musica di Milano
di Sergio Lattes
Andrea Melis è direttore della Civica Scuola di Musica di Milano dall’ottobre
del 2010. Proviene da studi musicali (diploma in Composizione) e teoretici
(laurea in Filosofia, con indirizzo filosofico-musicale). Ha svolto e svolge
attività compositiva, saggistica e di ricerca in ambito musicale e filosofico.
La Civica Scuola di Musica è nata nel 1862 con l'intento di formare amatori,
strumentisti per la Civica Banda e per il Teatro alla Scala. Dal 2000 fa parte
di Fondazione Milano, assieme alla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”, alla
Scuola di Cinema e Televisione e a Milano Lingue (interpreti e traduttori). Dal
1973 la Scuola ha sede nella storica Villa Simonetta.
La scuola si articola negli Istituti di Musica Antica, Classica, Ricerca
Musicale, I Civici Cori, ed I Civici Corsi di Jazz. I corsi di carattere più
amatoriale sono offerti dal CEM (Centro per l'Educazione musicale).
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Ora che
vi ci state avvicinando, come vedi il sistema dell’alta formazione musicale?
Ho sentimenti contrastanti rispetto alla prospettiva di
entrare nel sistema. La grande fortuna della Civica è stata proprio quella di
essere svincolata dai protocolli ministeriali. Buona parte delle realtà che
caratterizzano qualitativamente la scuola sono nate grazie alla possibilità di
non essere soggetti agli ordinamenti ministeriali: per esempio l’Istituto di
Musica Antica, l’IRMus (ex Istituto di musica contemporanea), oppure i Civici
Cori ed i Civici Corsi di Jazz: e certo si tratta di componenti essenziali
dell’identità, abbastanza unica, della Civica di Milano. Detto questo, sarò
ovviamente molto felice quando gli studenti della scuola potranno avere una
proiezione dei propri studi anche nel segmento dell’alta formazione.
D’altro canto, guardando ai nuovi ordinamenti e alle
relative declaratorie, non li trovo del tutto adeguati alle necessità di una
moderna proposta formativa. Mi rendo ben conto che si sono dovuti fare i conti
con le docenze dei Conservatori e le relative classi di concorso, ma si ha
l’impressione che questi elementi abbiano pesato troppo nella definizione degli
ordinamenti. Più di quanto abbiano pesato le reali necessità ed esigenze di un
sistema di alta formazione moderno e attento alle trasformazioni.
Certo,
voi arrivate, per così dire, quando la torta è già cotta. Se invece aveste
potuto partecipare alla preparazione, magari l’avreste voluta diversa...
So bene che le torte si fanno con gli ingredienti a
disposizione. E per continuare con le metafore, si è dovuto costruire la casa
partendo dal tetto. Ma più che guardare a ciò che si sarebbe potuto fare
diversamente, mi interessa guardare al sistema formativo nel suo insieme come un
universo in evoluzione. Una parte appare meglio definita: il triennio. Un po’
meno il biennio. Poi ci sono le scuole medie a indirizzo musicale. Poi, e deve
ancora prendere definitivamente forma e consistenza, il liceo musicale. E c’è la
questione della formazione musicale all’interno della scuola primaria. Mi
piacerebbe immaginare questa intera “filiera formativa”, che deve man mano
strutturarsi in modo coerente.
Se
pensiamo all’intero sistema formativo, c’è chi ritiene che la riforma, oltre a
partire dal tetto, si sia occupata molto di ingegneria curricolare, e poco di
didattica.
Lo penso anch’io. Si è parlato poco di come sostanziare la
nuova architettura degli studi con contenuti diversi da quelli che conoscevamo.
Ci si è occupati, in un certo senso, di far entrare in nuove scatole oggetti
vecchi. Quando prima parlavo di eccessivo appiattimento dei nuovi ordinamenti
sulle classi di concorso, intendevo appunto questo ordine di problemi. C’è
bisogno di mettere al centro del dibattito una serie di temi “forti”: la
discussione di modelli didattici, il ripensamento del rapporto con le
tecnologie, l’approfondimento di temi di tipo linguistico – il trasferimento
all’interno della didattica della molteplicità dei linguaggi che è nella realtà,
per non dire del rapporto con le professioni tecniche, organizzative e
manageriali che ruotano attorno alla musica e che ne rendono possibile la
diffusione. Però qui si pone, perché è strettamente correlato, il discorso che
non si può separare il tema dell’alta formazione da quello della formazione
musicale pubblica e generale. Si tratta appunto di ripensare, di ridefinire che
cosa è educazione musicale. I nostri studenti, del resto, non meno di
tutti gli altri risentono di non essere stati accompagnati, prima e al di fuori
della scuola specialistica, a scoprire la musica anche nei suoi aspetti
sensoriali e pratici. Credo che in questo senso il nostro paese soffra di un
ritardo che trova le sue radici anche nella matrice teorica e filosofica della
sua cultura pedagogica.
Tornando
alla riforma, prevedete anche voi di trasformare i percorsi di base in
pre-accademici?
Sì, siamo già organizzati in questo senso e abbiamo
riconsiderato abbastanza in profondità la formazione. Ma stiamo anche lavorando
per altre attività: per esempio stiamo portando la musica nelle scuole primarie
e non solo, abbiamo convenzioni con diverse scuole per attività curricolari ed
extra-curricolari. In collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale abbiamo
anche proposto svariate iniziative di “formazione formatori” e abbiamo dato vita
all’Orchestra Giovanile della Lombardia, con studenti provenienti da 30 scuole
diverse, per un totale di 3 compagini orchestrali: orchestra sinfonica,
orchestra d’archi, orchestra di chitarre. Vorremmo in sostanza ricostruire al
nostro interno, e in collaborazione col mondo della scuola, quella filiera
organica di cui parlavo, in modo che ciascuno studente possa trovare in essa la
ragion d’essere del proprio e unico rapporto con la musica: che si definisca
nel tempo come un rapporto di tipo amatoriale, o come qualcosa di più
approfondito e, in prospettiva, professionale.
Voglio dire, è importante che lo studente abbia la
possibilità di scoprire strada facendo quale sarà il suo orientamento
verso la musica. E mi sembra altrettanto importante che, in ogni caso, il
progetto resti sotto lo stesso tetto, nella stessa casa. La Civica di Milano
(che festeggia quest’anno i suoi 150 anni) nasce come scuola popolare, ma anche
come vivaio per la formazione di strumentisti per il Teatro alla Scala.
Aver messo insieme le due finalità può apparire utopistico,
ma secondo me fu profondamente giusto e lungimirante. Il tema della formazione
dei professionisti della musica e quello della formazione degli amatori e del
pubblico sono due facce del medesimo problema. Un progetto di formazione di
interpreti, anche di alto livello, non può essere disgiunto dalla cura, dalla
progettualità della divulgazione della cultura musicale e dalla formazione di
base, anche amatoriale. Mi sembra molto importante che questi due livelli di
formazione possano convivere all’interno della medesima istituzione, in un
rapporto di osmosi. Poi, naturalmente, i percorsi didattici devono essere tarati
sulle esigenze e sulle capacità di ciascuno; ma mi sembrerebbe sbagliato
separare drasticamente le due sfere. Per usare una metafora, è un po’ la
differenza che corre tra coltivare una piantagione in regime di monocultura ed
l’adoperarsi per consentire a un ecosistema di svilupparsi armoniosamente,
nell’equilibrio dinamico delle sue componenti. A mio avviso, l’approccio da
piantagione “monoculturale” è ormai obsoleto e inadeguato.
Mi rendo conto, ma questo è un altro discorso, che non
tutte le istituzioni possano avere la “massa critica” necessaria per poter
progettare in tal senso. Ma dove questo non accade, le istituzioni dovrebbero
riuscire a consorziarsi. Penso per esempio a tante scuole civiche che potrebbero
lavorare in migliore sinergia con i Conservatori, e viceversa.
Una
formazione del pubblico dovrebbe coinvolgere numeri molto più elevati di quelli
cui può arrivare una singola istituzione con la sua struttura “cilindrica”,
verticale. Nessun Conservatorio può pensare rispondere da solo all’esigenza di
una formazione musicale di massa. Si tratta dunque di mettere in qualche modo
“in rete” tutte le agenzie che, a vario titolo, fanno formazione musicale.
Appunto. Ma lo stesso vale anche per l’alta formazione in
senso stretto. Non possiamo più pensarla in termini solo nazionali, anche qui
c’è necessità di fare sistema a livello (almeno) europeo, e di competere a
livello europeo. Per esempio, in una città come Milano, il Conservatorio la
Civica e l’Accademia della Scala potrebbero, consorziandosi in qualche modo,
creare un polo che sarebbe veramente in grado di competere a livello europeo. Mi
sembrerebbe in qualche modo doveroso ragionare in questi termini, superando
particolarismi e paure che sono tipici del sistema formativo italiano. Anche per
la responsabilità che ciascuna istituzione porta nei confronti del denaro
pubblico, dal quale in definitiva tutti dipendiamo. E in considerazione della
ben nota diminuzione di questa risorsa.
Su
queste prospettive puoi definirti ottimista?
Diciamo che sono speranzoso. In particolare spero che col
Conservatorio, una volta superate ansie che sono legittime e ben comprensibili
di fronte al moltiplicarsi degli attori sul campo, si possa trovare un dialogo
convincente e vantaggioso per tutti.
C’è però
chi pensa che non si debbano mettere in campo più istituzioni Afam sullo stesso
territorio (faccio l’esempio di Milano, oppure quello di Firenze) senza tener
conto delle possibilità di assorbimento del mercato del lavoro. Si potrebbe
creare una situazione, diciamo così, di sovraproduzione formativa.
Credo che sia un problema di complementarietà, o di
coordinamento. Ti faccio un esempio concreto: io eviterei, o eviterò, di andare
a replicare cose che il Conservatorio di Milano fa molto bene. Vedo con serenità
il fatto – che peraltro è storicamente consolidato – che molti nostri studenti
possano proseguire gli studi nel Conservatorio. Dall’altra parte confido che il
Conservatorio riconosca che anche noi facciamo molto bene alcune cose, sulle
quali forse non è utile duplicare la proposta formativa. Si tratta quindi di un
problema di responsabilità delle istituzioni nel momento in cui dialogano fra
loro. Se riusciamo a creare una rete, la proposta formativa si amplia, a totale
vantaggio degli studenti.
Vedo che
anche tu come qualche altro direttore pensi alla possibilità di coltivare le
migliori vocazioni di ogni istituzione, senza la pretesa di ciascuna - e di
tutte – di essere “universali”.
Esatto. Del resto sono le scelte degli studenti a guidarci
in questa direzione. Oggi uno studente del triennio, e ancor più del biennio, ha
la possibilità di andare in giro per l’Europa a prendere il meglio delle diverse
istituzioni. Questo è già un dato di fatto. Si tratta quindi di leggere la
realtà per quello che è, e interpretarla nel modo migliore per rispondere alle
scelte degli studenti. Bisogna costruire delle eccellenze in maniera
trasversale, libera, duttile. Soprattutto, superare una concezione
“proprietaria” dello studente da parte delle istituzioni (oltre che fra singolo
docente e singolo studente). Non discuto l’importanza del tradizionale rapporto
docente-studente, ci mancherebbe, ma non deve diventare una gabbia che impedisca
allo studente di trovare la sua strada. Sia al loro interno, sia nel rapporto
fra loro, le istituzioni devono favorire la possibilità per lo studente di
circuitare. Lo definirei un fecondo vagabondaggio. E sarà tanto meglio se questa
mobilità sarà gestita e orientata in modo concorde fra le istituzioni.
Vengo a
un’altra preoccupazione che circola: istituzioni private e civiche hanno minori
vincoli nel reclutamento e nella retribuzione, e quindi farebbero una
“concorrenza sleale” alla scuola statale, mentre all’Università le regole sono
le stesse fra pubblico e privato.
Capisco bene, e bisogna ragionarci. So che molti
Conservatori chiedono una maggiore libertà, e che si attende un nuovo
regolamento in proposito. D’altra parte noi abbiamo una maggiore libertà ma i
criteri qualitativi sono in fondo gli stessi. Comunque sarei d’accordo sulla
costruzione di un sistema di regole condivise che governi l’intero sistema. E’
giusto che allo studente sia garantito di trovarsi, in ogni istituzione, di
fronte a docenti selezionati con gli stessi criteri qualitativi.
In questo senso, l’attuale momento di evoluzione del
sistema potrebbe essere l’opportunità per ripensare questi criteri, a vantaggio
degli stessi Conservatori. Così come per pensare a modelli di governance
delle istituzioni più adeguati al trasformarsi della realtà.
Parliamo
per un momento del vostro modello di governance. E della composizione del vostro
personale docente.
In termini strettamente giuridici, siamo un soggetto
privato, una Fondazione (Fondazione Milano) che si articola in 4 dipartimenti
(musica, teatro, cinema, lingue), governata da un consiglio di amministrazione.
Lo statuto è attualmente oggetto di revisione. Attualmente il collegio docenti
ha dei poteri limitati ed il Direttore risponde del proprio operato direttamente
al CdA. Mi auguro che questo assetto possa essere ripensato e affinato, in modo
da restituire pregnanza e pienezza al ruolo progettuale e partecipativo del
corpo docente. Il nostro personale di ruolo – mi riferisco alla Scuola di Musica
nello specifico – è reclutato con criteri abbastanza simili a quelli dei
Conservatori e copre circa il 60% dei docenti. Il resto del personale è a
contratto, ma l’orientamento espresso dell’attuale Giunta comunale è stato
quello di favorire le assunzioni, per ora a tempo determinato ma confido possano
diventare a tempo indeterminato, di coloro che sono da molto tempo parte
integrante dell’istituzione – purché lo vogliano, s’intende. Questo riguarda
tutte le materie “principali” e “complementari” a carattere curricolare. La mia
speranza è che i contratti di collaborazione possano essere limitati alle
docenze impiegate per attività ben definite nel tempo, come masterclass,
seminari, cicli di lezioni.
Mi
sembra di capire che rimane comunque all’istituzione una discrezionalità
maggiore di quella di cui godono i Conservatori nel reclutamento del personale.
E mi auguro che resti così. Certo, so bene che di questo
“potere” si può fare un uso ottimo ma anche pessimo, cosa che può effettivamente
avvenire. Ma se, entrando nel sistema e a livello di sistema, dovremo modificare
i criteri di reclutamento, beninteso lo faremo. La maggior parte dei nostri
docenti “storici” del resto, è diventata di ruolo in seguito a un concorso,
quando la Scuola era gestita direttamente dal Comune. Per noi però il tema più
rilevante non è quello delle ipotetiche future assunzioni, quanto quello della
stabilizzazione di chi da tempo fa parte dell’istituzione. Ci vedo una questione
di giustizia e di correttezza.
Il
Comune di Milano tende a restringere le dimensioni “storiche” del suo massiccio
intervento nell’istruzione, che risalgono a Maria Teresa... C’è il rischio che,
con la vostra entrata nell’Afam, il Comune possa (come altri Comuni, titolari di
Istituti pareggiati) sentire la Civica Scuola di Musica come un peso?
Credo di no. Intanto la Fondazione di cui siamo parte ha
stipulato una convenzione trentennale con il Comune di Milano. Poi vedo che le
intenzioni e l’atteggiamento del Comune, pur nell’avvicendarsi delle
amministrazioni, resta positiva e propositiva. Non potrebbe essere diversamente
per una città vocazionalmente cosmopolita nei confronti di un’istituzione
musicale con 150 anni di storia alle spalle. Una città come Milano non può certo
privarsi delle proprie eccellenze, anche formative. Non a caso, l’assessorato
cui afferiamo è quello deputato alle Politiche per il Lavoro e all’Università.
Noi – come i nostri colleghi del teatro e del cinema – siamo formatori di
interpreti, operatori e tecnici del settore, che hanno buone carte da giocarsi
sul mercato del lavoro. Penso per esempio a vari profili tecnici per cui
prepariamo gli studenti: siamo un centro autorizzato Avid per Pro Tools
(il software professionale più utilizzato negli studi di registrazione per
l’editing audio). Gli studenti che escono dai nostri corsi per tecnici del suono
sono titolari di una certificazione Avid relativa a questo software. E
ancora, siamo un Apple-authorized training center per la formazione al
software musicale Apple. Il nostro corso di Musica per l’Immagine cerca di
mettere a frutto le potenzialità offerte dalla collaborazione col dipartimento
di Cinema della nostra Fondazione. Esperienze analoghe sono state realizzate e
sono allo studio col dipartimento di Teatro (Paolo Grassi).
Dunque, oltre che di strumentisti, ci occupiamo della
formazione di altre professioni che stanno oggi all’interno del mondo musicale,
guardando anche alle potenzialità offerte dal rapporto interdisciplinare con gli
altri dipartimenti. Anche la Paolo Grassi, per fare un altro esempio all’interno
della medesima Fondazione, oltre a formare attori ha al suo interno una scuola
di operatori per lo spettacolo, che funziona molto bene, così come il
dipartimento di Cinema forma ottimi professionisti del settore. Lo stesso vale
per il dipartimento di Lingue con gli interpreti ed i traduttori.
Riuscite
a monitorare gli esiti professionali dei vostri studenti?
Sì. Abbiamo delle indagini periodiche effettuate da SWG
sulla fortuna professionale dei nostri studenti. E devo dire che i risultati
sono sempre piuttosto confortanti, anche se molto resta da fare per formare,
orientare e coordinare le diverse figure professionali e raccordarle al mondo
della produzione artistica. Anche in questo ambito stiamo lavorando.
In
chiusura, torno al punto (forse) dolente: con l’ingresso nell’Afam di istituti
civici e privati, stiamo andando verso nuove collaborazioni e sinergie, o verso
una concorrenza senza regole fra istituzioni?
Distinguerei tra i miei personali auspici e la realtà, per
quel che potrebbe profilarsi. La concorrenza “senza quartiere”, a prescindere da
chi starà dentro o fuori dall’AFAM nazionale, prima o poi potrebbero portarla
quegli istituti che si convenzioneranno con un’istituzione universitaria estera,
così da poter rilasciare un titolo equipollente. La strada è aperta, ed è solo
questione di tempo. La legislazione europea finirà per prevalere su qualsiasi
calcolo e ragionamento rigidamente confinato entro il contesto nazionale.
Beninteso, non auspico minimamente uno scenario di
concorrenza selvaggia e non sono certo un fautore della deregulation
totale. Ad ogni modo, dobbiamo tutti prendere coscienza del fatto che,
verosimilmente, lo scenario muterà notevolmente, molto più di quanto si possa
essere indotti a supporre. La scelta, allora, è tra orientare attivamente il
cambiamento o subirlo.
Sul piano personale, spero vivamente che finisca per
prevalere una logica sinergica di convenzione e di collaborazione. Non mi limito
a sperarlo, è la soluzione per cui mi adopero e che considero maggiormente
razionale ed utile. Mi sembrerebbe innaturale pensare al Conservatorio di Milano
in termini di concorrenza. Tra l’altro è l’istituzione presso cui io stesso,
come tanti colleghi, ho studiato – e cui sono legato da sincero rispetto e
affetto. Penso, casomai, a una opportunità di stimolo reciproco. Penso a un
regime di convenzione che permetta allo studente di fruire di “pezzi” di
formazione nelle due istituzioni, o magari da più istituzioni su scala
regionale. Perché non poter progettare insieme la didattica nella direzione di
percorsi “congiunti”, spendendo ciascuno al meglio le proprie risorse? E, anche,
perché non mettere la nostra maggiore “libertà di movimento” e di operatività al
servizio dell’intero sistema milanese, cioè degli studenti dell’una e dell’altra
istituzione? Può sembrare un’utopia, ma penso che occorra cominciare a ragionare
in questo modo, superando i particolarismi.
maggio/giugno 2012
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