Purchè si competa ad armi pari
a
colloquio con Paolo Biordi, direttore del Conservatorio "Cherubini" di Firenze
Paolo Biordi è prossimo alla scadenza del suo secondo mandato, e quindi a
passare la mano. E' forse il momento giusto per tentare con lui un bilancio
della situazione complessiva, fiorentina e non, dal punto d'osservazione di una
scuola d'antica tradizione che opera in un territorio ricco di istituzioni
musicali e scuole, e quindi in una situazione di vivace competizione.
Come stanno i Conservatori di musica, e dove
vanno?
Ci sono vari aspetti che sono da prendere
in considerazione. Parto dalla legge di riforma, e dagli aspetti collegati: la
chiusura del vecchio ordinamento – salvo il diritto alla conclusione per chi è
già iscritto – e l’istituzione dei corsi pre-accademici, previsti già dal DPR
212 oltre che dai regolamenti didattici di tutti i Conservatori.
Intanto qualche considerazione sui flussi della popolazione studentesca. Oggi,
qui a Firenze, abbiamo 500 studenti del vecchio ordinamento e 250 fra triennio e
biennio. Abbiamo 107 docenti e tutte le classi piene salvo poche eccezioni, e
ogni anno abbiamo 50/60 diplomi del vecchio ordinamento. Quindi nel giro di 3 o
4 anni gli studenti del vecchio ordinamento saranno ridotti a circa 200, e
considerando anche gli abbandoni è evidente lo squilibrio cui andiamo incontro.
Non sarà uguale in tutti i casi: i percorsi decennali potrebbero avere una
strada più “morbida”, i corsi più brevi (sessennali, settennali) smaltiranno gli
studenti del vecchio ordinamento in un tempo più breve. E se si considera che il
ciclo del nuovo ordinamento è breve (due o tre anni in linea di principio) ecco
che alcuni corsi in particolare potrebbero incontrare pesanti difficoltà di
alimentazione. L’istituto nel suo insieme potrebbe trovarsi con qualcosa come
300 studenti al posto degli attuali 800. Per il futuro si pone dunque il
problema di un flusso in entrata adeguato ad alimentare il triennio e il
biennio.
I corsi pre-accademici non svolgeranno questa
funzione?
Appunto. L’anno scorso li abbiamo
attivati, e sono entrati 43 studenti: meno di quello che era il precedente
afflusso al vecchio ordinamento. Come si spiega? Gli studenti sanno che il
Conservatorio non rilascia più i titoli “formali” previsti dal vecchio
ordinamento. Molti a questo punto preferiscono le scuole private o comunali -
ben vengano, ovviamente! – se le trovano più vicine sul territorio, e rinviano
casomai l’iscrizione al Conservatorio al futuro, per il solo percorso
accademico. In Toscana le scuole di musica sono moltissime, e solo in Firenze ci
sono diverse grandi scuole di musica, con più di mille allievi, oltre il
Conservatorio. E’ vero che il Conservatorio offre un’offerta più ampia – tutti
gli strumenti e canto, l’orchestra, la musica da camera, musica jazz, musica
elettronica e antica, composizione e le varie tipologie di direzione, ma la
distribuzione territoriale conta molto nelle scelte d’iscrizione.
C’è poi la questione del liceo musicale. Certo non si può considerare questo il
“riordino” generale della formazione musicale che la legge pone come limite
all’esistenza dei pre-accademici dei Conservatori. Ci sono poco più di trenta
licei musicali in tutta Italia, con un’ottantina di sezioni. Naturalmente è
utilissimo che ci sia il liceo musicale, tuttavia anche questo rappresenta un
elemento a sfavore dei Conservatori, in termini di potenziale utenza che viene
sottratta. Almeno nell’immediato, ammettendo che arrivino al Conservatorio
dopo (e questo apre un altro discorso, quello di come sono impostati questi
licei, e lo faremo fra poco). Ma comunque, per rimanere alla dimensione
fiorentina, le due sezioni del liceo Dante costituiscono una sessantina di
studenti che non vengono da noi.
Solo nei prossimi anni sapremo se, in queste mutate condizioni, i corsi
pre-accademici garantiranno flussi adeguati a mantenere l’attuale consistenza
degli istituti. Noi ci stiamo dando da fare, con incontri con i genitori e varie
forme di pubblicità. Vedremo.
Però tutte queste “agenzie” formative presenti sul
territorio andranno ad alimentare il nuovo ordinamento. Dunque la popolazione
conservatoriale dovrebbe in teoria allargarsi, piuttosto che restringersi.
Non credo che sarà così, e non sarà un
processo indolore. E’ vero che i ruoli dei Conservatori sono “ad esaurimento”,
ma i docenti di ruolo ci sono, e trovarsi di fronte a un brusco calo della
popolazione studentesca sarà problematico.
C’è poi un problema di qualità della preparazione degli studenti. Il livello di
chi arriva da scuole esterne non è lo stesso di coloro che hanno fatto tutto il
percorso in Conservatorio, e spesso non è adeguato.
C’è anche una questione di raccordo fra medie a indirizzo e licei a indirizzo.
Qui sta il problema: non cè un curricolo organico fra media e liceo a indirizzo.
E per di più – almeno a Firenze – anche al liceo musicale quest’anno c’è un
calo nel flusso della domanda. Vedremo quale sarà la domanda ai nostri
pre-accademici nel prossimo mese di aprile.
E c’è poi il problena dell’offerta formativa. I Conservatori, almeno i maggiori,
offrono tutti gli strumenti. I licei musicali, e le scuole medie a indirizzo,
offrono un ventaglio molto più ristretto di strumenti. Come faremo ad avere
nuovi iscritti ai trienni di arpa, di contrabbasso, di molti strumenti a fiato,
di clavicembalo, organo e così via? Senza i corsi pre-accademici in
Conservatorio le prospettive non mi sembrano rosee.
Sul tappeto ora c’è il disegno di legge 1693,
approvato dal Senato nello scorso novembre.
Questo è un problema nuovo e ulteriore.
L’ipotesi di equipollenza del titolo di vecchio ordinamento con il biennio
specialistico mi sembra un errore clamoroso. Nel 2002 la legge ha indicato nel
diploma di vecchio ordinamento uno dei titoli di accesso al biennio. Cosa
dobbiamo dire a tutti quelli che, col vecchio titolo, sono venuti a fare il
biennio, e solo da noi sono centinaia? Che ci siamo sbagliati? Era una scelta
che semmai andava fatta al momento della riforma. Oggi, sentita la novità in
arrivo, studenti che frequentano il biennio e provengono dal vecchio ordinamento
già mi chiedono di cambiare biennio in corso d’opera: il titolo sperano
di averlo già (con l’equipollenza) e allora preferiscono conseguire il titolo in
un’altra specialità, per esempio in Musica da camera. Per non parlare di quelli
che hanno concluso il biennio, che sono giustamente inferociti.
Poi c’è un altro danno: i miei 500 iscritti al vecchio ordinamento sono i
potenziali iscritti, domani, al biennio specialistico. Con la nuova legge li
avrei già persi, perché il titolo che conseguiranno è equipollente al biennio. E
poi: non è il caso di parlare di equipollenza, casomai di equiparazione ai fini
dei pubblici concorsi. I contenuti sono profondamente diversi. Il vecchio
ordinamento nella fascia superiore dei corsi decennali prevedeva esami di
strumento, molto impegnativi, e poco altro. Per gli archi, nel corso superiore,
solo la licenza di Quartetto. L’orchestra non è mai stata un vero obbligo (anche
se qui l’abbiamo resa obbligatoria per 5 anni). Diciamo pure che nel corso del
tempo è stato possibile diplomarsi in Conservatorio senza un’adeguata
preparazione orchestrale, e anche corale.
Il
biennio attuale prevede una formazione incomparabilmente più vasta rispetto al
vecchio ordinamento. Cito la formazione orchestrale, corale, cameristica e di
insieme che diventano obbligatorie e hanno tutt’altro corpo. Cito la formazione
analitica e compositiva dello strumentista, gli approfondimenti monografici in
storia della musica. E non c’è solo il versante musicale: cito per esempio
l’informatica musicale, la consapevolezza corporea, le lingue straniere. Si
tratta di qualcosa di imparagonabile al vecchio percorso.
In
definitiva mi sembra che il disegno di legge sull’equipollenza sia un’ipotesi
sciagurata, e non so rendermi conto di chi i Senatori abbiano consultato.
Altra considerazione, non è nemmeno previsto il possesso del titolo di scuola
secondaria superiore per ottenere l’equipollenza del titolo alla laurea
magistrale!
Torniamo alla riforma. Hai citato molte
criticità che ne sono derivate. Però hai anche detto che i nuovi percorsi sono
incomparabilmente più ricchi. Qual è il bilancio?
E'
vero sono più ricchi, ma detto questo voglio rivolgermi ai detrattori dei
Conservatori, specialmente quelli che sono illustri, e hanno udienza nella
stampa nazionale. Che fra l’altro, nei Conservatori si sono formati. E a loro
dico: avete studiato qui. Perché non ci venite ad insegnare? Perchè non
proponete delle soluzioni che ci aiutino a migliorare un sistema che ha formato
generazioni di musicisti di grande valore?
Potrei spingermi anche a dire che se il vecchio ordinamento fosse stato
riorganizzato con tutte le competenze necessarie, il Conservatorio avrebbe
potuto mantenere la sua atipicità e la sua verticalità in modo stabile e non
solo “fino al riordino” eccetera. Mentre ora dobbiamo fronteggiare, fra l’altro,
un versante sindacale che considera completato il “riordino” con lo striminzito
liceo musicale che è uscito dalla riforma dei licei, e di conseguenza considera
addirittura illegali i corsi pre-accademici....
La legge prevedeva anche una riorganizzazione territoriale del sistema dell’alta
formazione. I Conservatori sono troppi?
Su
questo ho molte perplessità. Intanto: non è vero, per fare un esempio, che in
Francia ci sono solo due Conservatori. Ce ne sono oltre cento. Non vedo perché
da noi debba “bastare” un Conservatorio per regione. In un paese come il nostro,
dove tutto il sistema Afam costa quanto una media Università, come si può
pensare a restringerlo? Perché non spendere invece qualcosa di più, anziché fare
le riforme “a costo zero”?
E’
ovviamente anche un problema di scelte culturali. Si tende troppo spesso a
pensare che la spesa per la cultura sia improduttiva. Penso invece che la musica
si deve poter studiare dappertutto. Il linguaggio musicale è un elemento comune
a tutti gli uomini, forse più diffuso perfino della lingua inglese. E’ un
elemento unificante: pensa solo al caso dell’orchestra giovanile
israelo-palestinese di Baremboim, che mette insieme ragazzi che fuori da quel
contesto potrebbero essere nemici.
Ma i Conservatori non hanno una funzione di diffusione di base della musica, si
muovono in una logica di preparazione alla professione, prevalentemente dello
strumentista.
Con il vecchio ordinamento. Con il nuovo, la figura del musicista è molto più
ricca e le competenze sono molto più ampie. Con la musica si può anche
vivere. Qualche volta, perfino arricchirsi. E non è detto che, se non ci si
vive, non ne sia tuttavia valsa la pena. Penso che chi esce diplomato da qui, se
anche farà un altro mestiere, sarà comunque un cittadino migliore. Almeno in
linea di principio.
Quanto agli esiti occupazionali, non mi pare che il diplomato in musica sia un
personaggio più “in soprannumero” del laureato in lettere o in filosofia.
Naturalmente considero molto positiva la legge 240 che permette la doppia
frequenza: chi, strada facendo, si rende conto di non essere destinato alla
musica come professione, può completare tuttavia una buona formazione
musicale preparandosi insieme a un altro percorso professionale. Come si è
sempre fatto, e come è giusto che sia in un paese civile.
Per queste ragioni sono contrario all’idea che in Conservatorio debbano entrare
solo pochi talenti eccezionali. Diventerebbe una formazione d’élite, mentre io
penso che un paese civile debba offrire a tutti la possibilità di accesso a una
formazione musicale di qualità. Ci sono fior di pianisti che fanno altre
cose nella vita; e quelli fra i nostri diplomati che non faranno i musicisti
sono comunque il nocciolo del futuro pubblico delle sale dei concerti. Il
Conservatorio potrebbe anche distinguere, a un certo punto del percorso, fra
coloro che andranno verso la professione e quelli che saranno semplicemente dei
cittadini più colti. Ma resta fermo che anche questo secondo scopo è un dovere
dello Stato.
Come pensi che i Conservatori debbano atteggiarsi verso le “altre” musiche?
Il
Jazz è già entrato nei Conservatori, in modo forte, e penso che sia un bene. E’
un linguaggio importante e consolidato, una componente della nostra cultura. Può
sembrare strano “laurearsi” in Jazz? Non più che in lingue antiche, o in
qualunque altra specializzazione. Il Jazz non ha meno “mercato” – che so – del
greco antico o dell’egittologia. Ma sono tutte parti costitutive della nostra
cultura, non ci si può permettere di perderle. E non si può pensare che l’unica
misura delle scelte culturali sia l’orientamento del mercato.
“Altra” musica nei Conservatori è, in un certo senso, anche la musica antica.
Che ci è entrata da pochissimo tempo, e anche questo è stato un bene. I
modestissimi ingredienti “barocchi” previsti dal vecchio ordinamento non hanno
nulla a che vedere con la vastità, la profondità del movimento della musica
antica e con il suo recupero dei linguaggi e delle prassi esecutive fondate sui
testi d’epoca. Il nostro patrimonio è tutta la musica: anche quella medievale,
quella rinascimentale, quella barocca. Perché il Conservatorio non dovrebbe
occuparsene?
Poi c’è la musica d’uso, e anche qui bisogna distinguere. Vorrei ricordare una
recente intervista di Riccardo Muti, che per altri aspetti non ho condiviso. Ma
diceva, penso a ragione, che ci sono dei brani di musica leggera che sono
straordinariamente belli e interessanti. Ovviamente non è il “peso” commerciale
che deve determinare il comportamento dell’istituzione formativa. Ma il fenomeno
nel suo insieme non può essere ignorato, e anche lì la bussola dovrebbe essere
la qualità. E penso che la presenza della formazione accademica potrebbe anche
avere una influenza positiva su quel mondo.
Per chiudere il cerchio, come vedi il futuro? Fra dieci anni il sistema della
formazione musicale sarà più o meno lo stesso di oggi?
Certo siamo in un momento particolare, il governo sta conducendo il paese in una
transizione importante. E siccome i risultati in generale mi sembrano positivi,
non voglio pensare che invece proprio per i Conservatori passi una soluzione
liquidatoria, del tipo “dieci Accademie e basta”. Sarebbe una liquidazione del
nostro patrimonio.
Potrebbe andare in questo senso l’imminente riconoscimento della titolarità
dell’alta formazione a un gruppo di Accademie private?
Su
questo argomento vorrei essere chiaro. Penso che questo passo sia un errore. So
bene che ci sono le Università private. E so che la legge prevede questa
possibilità anche nel nostro settore. Ritengo però che lo Stato dovrebbe, prima
di concedere questi riconoscimenti, valutare quali sono le necessità del
sistema. Faccio il caso di Firenze, voglio essere esplicito. C’è un
Conservatorio che ha una lunga storia, e c’è la Scuola di Fiesole che ha chiesto
di poter attivare i corsi accademici. Bene, noi abbiamo 250 studenti dell’alta
formazione – non sono pochi rispetto al trend storico. Ma non potranno diventare
molto più di così. La prima domanda dunque è quale necessità ci sia di
autorizzare una scuola privata a rilasciare titoli dell’alta formazione in
questo contesto. Seconda domanda, perché non puntare a un riequilibrio sul
territorio nazionale, anziché mettere due istituzioni nella stessa città. Terzo
punto: il Conservatorio è fortemente penalizzato nella competizione che si apre.
La riforma non è stata “a costo zero” come si dice, ma molto sotto lo zero:
quando io sono arrivato, il contributo del Ministero fra fondo d’istituto e
funzionamento era di circa 340.000 euro, oggi siamo a 80.000. Questo vuol dire
fra l’altro che tutto quello che si fa oltre pagare gli stipendi, è a carico
degli studenti. E questo è profondamente ingiusto: la formazione in una scuola
pubblica deve essere garantita con fondi dello Stato, e non fatta pagare agli
utenti. Per quel che ne so il diritto allo studio è garantito
costituzionalmente. Non posso, e non voglio portare la tassa d’iscrizione a
15.000 euro, anche se è d’attualità portare esempi dall’estero in questo senso.
Dall’altra parte, la “concorrenza” privata sarà finanziata da fondi pubblici? Mi
pare che la Costituzione dica “senza oneri per lo Stato”.
Ci sono contributi pubblici per le scuole private?
Certo. Per esempio, la Scuola di Fiesole – che peraltro personalmente considero
una istituzione benemerita - riceve forti finanziamenti dalla Regione
Toscana, mentre il Conservatorio con la probabile motivazione che è statale non
riesce ad accedere facilmente a contributi locali. Intanto la Provincia ci ha
annunciato il taglio dei fondi per le utenze, per la nota querelle
sull’edilizia universitaria. Dunque lo Stato da una parte taglia i fondi,
dall’altra autorizza i privati. Non mi sembra che questo quadro dia molte
speranze a questo settore della scuola pubblica.
E quando sarà abolito, come sembra che il governo intenda fare, il valore legale
dei titoli di studio?
In
linea di principio non sono contrario. Certo nessuna carriera di violinista o di
pianista è mai dipesa da un titolo di studio. Certo, una volta abolito il valore
legale, il peso delle risorse a disposizione, e dei vincoli normativi, diventa
decisivo. Se una scuola privata può scegliere liberamente di chiamare un docente
da qualsiasi angolo del mondo e pagarlo senza vincoli normativi (contratti
collettivi, d’istituto, meccanismi dei trasferimenti e simili), questa non è una
competizione alla pari. Penso che lo Stato dovrebbe mettere le proprie scuole
nella condizione di competere.
E se il disegno fosse quello di utilizzare le 75 istituzioni dell’afam per fare
la formazione di base, e affidare a poche accademie private la vera alta
formazione? Il paese ha fallito l’obiettivo di un’educazione musicale diffusa
nella scuola ordinaria, mi sembra improbabile che decida di avere veramente 75
sedi di alta formazione. Prima o poi qualcuno dirà che è insostenibile.
Guarda, su questo ti rispondo prima di tutto a titolo personale, come Paolo
Biordi. Insegno viola da gamba. So bene che è impensabile avere una classe di 10
studenti di sola alta formazione, e forse è così per qualsiasi cattedra, salvo
alcune atipiche. Personalmente dunque non avrei nessun problema a insegnare il
mio strumento a livello di base. Se ci sono studenti avanzati mi fa piacere, ma
insegno volentieri ai piccoli, l’ho sempre fatto, mi piace, ho tirato su
tantissimi violisti. Ho scritto un metodo per viola da gamba, per chi comincia
da zero, è venduto in tutto il mondo. Personalmente dunque non avrei problemi a
insegnare fino ad un certo livello, in un sistema in cui ci fossero poi poche
accademie.
Però il sistema dovrebbe essere ripensato nel suo insieme, seriamente. Per
esempio se sarà evidente che il biennio non ha sufficiente consistenza in tutte
le sedi, capisco che potrebbe essere destinato solo ad un numero minore di
conservatori, mentre ritengo che il triennio dovrà essere garantito in tutte le
sedi. Quello che trovo irricevibile è l’ipotesi di chiudere istituzioni
che esistono. Ne abbiamo parlato prima: sono realtà, sono centri di cultura.
Evitiamo gli sprechi, ma razionalizziamo e non falcidiamo. Facciamo delle
valutazioni serie sulla qualità e troviamo soluzioni per migliorarla.
Dunque, la valutazione. I nuclei di valutazione di
ciascun istituto lavorano ciascuno pro domo sua
Il nostro produce ogni anno un tomo
assai corposo, dove ci sono apprezzamenti e suggerimenti per noi, ma anche
raccomandazioni per il ministero. Queste ultime non so che séguito abbiano, e
non mi riferisco alla nostra direzione generale ma al ministero nel suo insieme:
probabilmente mancano strumenti, leggi, risorse per dargli seguito. Quanto alla
valutazione nazionale, la conferenza dei direttori e il suo direttivo, di cui
faccio parte, hanno rilevato l’incongruità che i Conservatori non siano
rappresentati nell’organismo che li dovrà valutare. Non sono un esperto di
valutazione, ma qui si tratta di valutare oggetti assai delicati. E’ più facile,
penso, valutare un ingegnere o un medico che non la componente artistica di un
musicista che si diploma in Conservatorio.
Però un elemento serio di valutazione delle
istituzioni potrebbe essere il monitoraggio degli esiti professionali nel tempo.
Mi pare che sia uno degli obiettivi di Almalaurea.
Ad Almalaurea non abbiamo aderito. Ci è
sembrato che vi prevalesse il progetto di database come strumento di relazione
fra domanda e offerta di lavoro, e in questo campo specifico sembra di dubbia
applicabilità. In questo campo contano il rapporto diretto fra musicista e
committenza, e i concorsi. Il monitoraggio dei diplomati sarebbe prezioso, ma lo
potrebbe fare la singola istituzione, istituendo una sorta di osservatorio. Ci
vorrebbero soldi, ma non poi tanti.
Una nota per chiudere.
Le risorse. Noi abbiamo scandito le
contribuzioni degli studenti in base al reddito: ne sono orgoglioso, è un
principio costituzionale. Ma non è giusto che gli studenti si paghino gli studi
con il loro contributo, come sarebbe nei fatti se dovessimo basarci
esclusivamente su questo.
a cura di Sergio Lattes
marzo 2012
torna alla home page
torna a
"Dove va l'alta formazione musicale?" |