Dove va l'alta formazione
musicale?
All'ultimo regolamento
a
colloquio con Bruno Carioti, direttore del Conservatorio dell'Aquila
e presidente della Conferenza dei direttori dei Conservatori
di Sergio Lattes
Incontro Bruno Carioti a Roma, in
piazza del Campidoglio, dopo un bel concerto dell'Orchestra di fiati del "suo"
Conservatorio in una manifestazione di sostegno per la ricostruzione
dell'Aquila. Il Conservatorio e la sua orchestra sono dunque, nel cuore di Roma
e in presenza di molte autorità, la bandiera dell'Aquila per riaccendere
l'impegno solidale verso la città abruzzese.
Bruno Carioti è anche il
presidente della Conferenza dei direttori dei Conservatori, e dunque è
particolarmente interessante ascoltare il suo punto di vista sui temi, anche
scottanti, di questo "giro d'opinioni" sul destino dell'alta formazione musicale
in Italia.
Per primo, quello che sembra l’argomento del
giorno: l’accesso di istituzioni private al sistema Afam.
Aspettiamo come imminente l’emanazione del regolamento per lo sviluppo del
sistema. Oltre che le nuove regole per il reclutamento dei docenti, dovrà
contenere le norme che indicheranno i requisiti per l’entrata di istituzioni
private nel sistema Afam.
Dunque il riconoscimento di istituti privati potrà
avvenire solo dopo il nuovo regolamento?
Dovrebbe essere così. Dico dovrebbe, perché purtroppo alcuni riconoscimenti sono
già avvenuti per decreto, in assenza – a mio parere – degli strumenti giuridici
per farlo.
Pensi che con il regolamento ci sarà omogeneità
nei meccanismi di reclutamento e di retribuzione fra pubblico e privato?
Così dovrebbe essere, come avviene per l’Università. E così pure
dovrebbe essere per quanto riguarda l’offerta formativa, i criteri di
composizione dei percorsi di studio, e tutto il resto. Le regole del sistema
privato dovranno essere le stesse del pubblico. Questo è quello che dice
la legge.
Sei ottimista a questo proposito?
Guardo a quello che, da molto tempo, succede all’Università. Certo, so bene che
il privato si muove più agilmente nel qualificare l’offerta formativa attraverso
docenze a contratto e collaborazioni. Vedremo. L’essenziale è che
l’equiparazione delle norme ci sia.
Ci sono istituzioni private che, se non ricevono
direttamente fondi dallo Stato, ne ricevono però (e talvolta anche molti) da
enti locali territoriali. E’ vero d’altra parte che il privato deve pagarsi il
personale, che per il pubblico è a carico del Tesoro.
Bisogna anche ricordare che i costi per l’utenza nelle Università private sono
di gran lunga più elevati. Ma in sostanza, se le norme del reclutamento saranno
effettivamente eguali, ci sarà una sana concorrenza e le istituzioni si
misureranno sul piano della progettazione, dell’innovazione, e anche della
capacità di “seguire” il mercato. Se viceversa dovesse essere una competizione
senza regole, il pubblico sarebbe inevitabilmente perdente.
Alcune istituzioni private fra quelle che si
”candidano” agiscono piuttosto sul piano del perfezionamento, dopo gli studi in
Conservatorio. E’ pensabile uno scenario in cui i Conservatori costituiscano un
livello per così dire intermedio, e alcune istituzioni private di grande
prestigio rappresentino il livello dell’eccellenza? Visto che le sedi Afam sono
75, e pochissimi i licei musicali, un disegno di questo tipo potrebbe essere
plausibile agli occhi della politica.
E’
un rischio che esiste. Sia perché alcune istituzioni private hanno
obiettivamente prestigio e si avvalgono di nomi di livello, sia perché appare
ben difficile che le Accademie private possano o vogliano farsi carico di tutta
la formazione del musicista, fin dagli inizi, come fanno i Conservatori.
Oltrettutto i costi sarebbero proibitivi.
Sarebbe tuttavia uno scenario mortificante per l’istruzione pubblica, e
inaccettabile, quello di espropriare le istituzioni pubbliche della facoltà di
fornire i percorsi formativi fino al massimo livello. Con questo però non
escludo che – come avviene nell’Università per molti campi, e basta pensare al
ruolo di certe istituzioni americane per la medicina – possano esistere dei
centri di eccellenza fortemente specializzati, dove gli studenti ricevano una
formazione professionale vera e propria, a contatto con la produzione, dopo
il percorso accademico. Per questo ribadisco l’importanza del regolamento che è
in gestazione, e questo sarà anche indicativo degli orientamenti del nuovo
governo su questi temi.
Fra le novità, un altro argomento sembra molto
sentito. Si sente dire che ci avviamo a entrare nel sistema di valutazione
universitario senza essere rappresentati nell’organismo di valutazione.
I
componenti sono tutti di nomina ministeriale. Ci saranno due componenti in
rappresentanza dell’ambito musicale e di quello delle arti visive. Il nome che
si sente fare per il nostro settore è effettivamente di provenienza
universitaria. Ma la questione principale è quella dei criteri di valutazione,
che nel nostro ambito non possono essere gli stessi di quello universitario.
Come Conferenza dei direttori abbiamo chiesto un’agenzia di valutazione
specifica per il settore Afam.
Poi ci sono nella valutazione aspetti anche più delicati, se si passa dalla
valutazione delle istituzioni, che è compito dell’Anvur, a quella dei docenti,
che può scaturire dall’attività dei nuclei d’istituto. Se emergono aspetti
negativi a carico di singoli docenti, quali sono gli strumenti per intervenire?
E’ qui il nocciolo delle difficoltà del sistema della valutazione.
Guardando più in generale alla riforma, può
sembrare che abbia riguardato più che altro l’architettura dei percorsi,
piuttosto che il concreto della didattica. La “classe docente” esprime una
spinta riformatrice?
In
primo luogo c’è un problema generazionale. Penso che i docenti più giovani –
intendo dire meno anziani – siano più aperti e disponibili in questo senso. I
più anziani spesso hanno difficoltà a comprendere i nuovi meccanismi. Inoltre
vengono da un mondo i cui non esisteva concorrenza – la musica si insegnava solo
in Conservatorio, i rapporti internazionali erano scarsi. Oggi le istituzioni
sono in competizione fra loro, e non solo fra istituzioni italiane, vicine o
lontane, ma è competizione internazionale. E la facilità di movimento e di
scambio facilita la riflessione sulle metodologie e il confronto delle
esperienze.
Anche all’Università, del resto, nella riforma ci sono state delle
incomprensioni e degli errori, dall’eccessiva frammentazione delle discipline
all’assurda competizione fra docenti in base ai crediti delle rispettive
discipline.
Comunque, per quanto riguarda noi, dobbiamo aver chiaro che la figura del
musicista non è più quella di un tempo. Abbiamo il compito di costruire
professionalità che siano spendibili nel campo dell’esecuzione musicale, ma che
al tempo stesso consentano collocazioni professionali non strettamente legate
all’esecuzione. Cito per analogia il caso della laurea in filosofia: non la si
prende solo per fare i filosofi. Spesso negli Stati Uniti, ma anche in molti
altri paesi, i manager sono laureati in filosofia. Si tratta dunque di una
formazione che è spendibile anche al di fuori della disciplina originaria.
Analogamente esiste tutta una serie di possibilità professionali per il
musicista al di là della pura e semplice opzione esecutiva: penso al management,
alla creazione di eventi, agli ambiti delle nuove tecnologie. E penso al jazz e
ai nuovi linguaggi in generale.
E’
ovvio che i ragazzi quando entrano hanno in testa un modello unico, incentrato
sullo strumento e sull’esecuzione. Ma, se restano in Conservatorio fino al
diploma, dobbiamo dargli degli strumenti anche culturali che gli consentano
opzioni più ampie di quella esclusivamente strumentistica.
A questo proposito, che ne è delle collaborazioni
con l’Università?
Ci
sono varie esperienze. Io ne ho una all’Aquila, relativa alla musicoterapia.
Tutta la parte scientifica legata alla psichiatria e alla psicanalisi la fa
l’Università. Il titolo è un diploma di specializzazione, e lo firmiamo
congiuntamente il Rettore e io. Cito anche un altro titolo congiunto, lo
formiamo con l’Accademia di danza per la preparazione dei maestri collaboratori
per la danza. E’ un ambito particolare, dove il pianista deve avere anche
competenze compositive un po’ più approfondite. Qui si tratta di un titolo di
secondo livello, anche questo a doppia firma. So poi di esperienze nell’ambito
del management, in collaborazione con facoltà di Economia. Anche in questi casi
gli studenti acquisiscono in Conservatorio le competenze sul versante musicale,
in una propettiva un po’ più ampia di quella puramente strumentistica, e
all’Università le competenze giuridiche ed economiche. Possono essere titoli
congiunti, oppure rilasciati dal Conservatorio in convenzione con l’Università.
A livello di sistema, il rapporto con
l’Università è fonte di conflitto o di opportunità?
Occorre fare un’eccezione per l’ambito musicologico, dove l’Università non vede
di buon occhio l’ingresso dei Conservatori. C’è anche un altro ambito di
sovrapposizione, limitato però ai DAMS, nella formazione degli insegnanti per la
classe A32. Per il resto, non vedo ragioni di conflitto, e tantomeno vedo
un’attitudine dell’Università a fagocitarci, come spesso si sente dipingere.
Anche perché i mestieri che facciamo sono diversi, e diverse le competenze.
C’è poi la grande partita nuova, quella della formazione dei docenti per il
liceo musicale. Le classi di concorso non sono ancora definite, ma anche lì -
immagino - in Conservatorio si formeranno i docenti sia
della parte “tecnica” (strumento, musica d’insieme ecc.) sia della parte
teorica (armonia, Storia della musica) e
all’Università quelli di Storia della musica.
Pensi che il liceo musicale crescerà o rimarrà
nell’attuale dimensione minimale?
Non lo so. Ho molte perplessità su come è stato organizzato e sull'esiguità del
numero di sezioni attivate. Il liceo ha bisogno di una frequenza quotidiana. E’
impensabile che lo frequentino ragazzi che risiedono a ore di distanza. E poi:
perché non può studiare uno strumento uno studente che desidera fare, poniamo,
il liceo classico? o magari il turistico, perché la sua famiglia ha una
pensione? Molto meglio che si possa frequentare il liceo che si vuole, e il
conservatorio. E’ questo che accade, per esempio, in Francia.
E siamo dunque ai pre-accademici. Ci sono
Conservatori dove i docenti non vogliono farli, e si assume personale ad hoc per
la formazione di base.
Non so perché. Immagino ci sia una componente di tipo sindacale. Io penso invece
che il nostro modello – quello del docente “verticale” che prende l’allievo da
piccolo, lo imposta e lo segue fino a livelli avanzati -
ci è invidiato in tutta Europa. La
continuità didattica è una ricchezza e non un limite. Quanto volte ognuno di noi
ha dovuto affrontare casi di ragazzi di 16-17 anni che dovevano essere
“rieducati” per difetti d’impostazione? E poi: lasciamo pure da parte l’aspetto
occupazionale per i docenti. Ma consideriamo l’aspetto culturale, che riguarda
una intera generazione di cittadini. Se tutti i Conservatori rifiutassero di
impartire la formazione di base, dove mai in questo paese si potrebbe avere una
formazione musicale? Solo nella scuola privata? Oppure nei 36 o 40 licei
musicali? Se e quando saranno 500, sparsi per tutta la penisola, se ne potrà
riparlare...
Con il nuovo regolamento ci potrà essere una
contrazione del numero delle istituzioni?
Non lo so. Ma nella legge Asciutti, in corso di discussione in Parlamento, c’è
una forte spinta verso la costituzione di Politecnici delle arti. Si tratterebbe
di nuovi organismi di alta formazione, rispetto ai quali i Conservatori
potrebbero trovarsi in subordine.
Questa legge contiene anche la controversa norma
che equipara i titoli del vecchio ordinamento al biennio del nuovo.
L’equiparazione del vecchio titolo al nuovo più alto è stata già fatta per
l’Università. Da noi però si crea una paradossale ingiustizia verso quegli
studenti in possesso del vecchio titolo che sono venuti a fare il biennio, e
così si troverebbero sullo stesso piano di chi non lo ha fatto. Fra virgolette
se vuoi, sarebbero stati truffati.
Quale la soluzione allora...
Il
riconoscimento al massimo livello del vecchio titolo è inevitabile. Ma agli
studenti che, in possesso del vecchio titolo, si sono sobbarcati il biennio,
andrebbe riconosciuto un punteggio aggiuntivo che possa aiutarli almeno nei
concorsi per l’insegnamento.
Passerà questa legge?
Io
penso di sì. Spero però che sia corretta l’equipollenza in equivalenza.
L’equipollenza indica lo stesso peso. Indica due percorsi formativi che
sono omogenei e hanno lo stesso peso. Non vale lo stesso discorso – per fare un
esempio qualsiasi – fra un diploma di clarinetto e una laurea in musicologia.
Attenzione poi: la corrispondenza è biunivoca. Potrebbe in laureato del Dams
insegnare clarinetto? La contrarietà espressa dal CUN è ben comprensibile.
Bisogna parlare di equivalenza, con riferimento ai pubblici concorsi.
In questo caso occorrerà una seconda lettura del
Senato. Il regolamento che manca potrebbe arrivare prima...
Con il collega che rappresenta i direttori delle Accademie, e col presidente del
Cnam, ho avuto un incontro con il ministro Profumo. A parte le questioni
economiche, gli abbiamo rappresentato l’urgenza di porre fine al processo di
attuazione della legge di riforma. Il regolamento che manca (quello relativo
allo sviluppo del sistema) è il pezzo vitale: è quello che norma il reclutamento
dei docenti, e indica le regole per l’ingresso delle istituzioni private nel
sistema Afam. Sono tre anni che questo testo è fermo nel gabinetto del Ministro.
Può darsi che alcune innovazioni abbiano incontrato resistenze. Per esempio
l’idoneità dei docenti a livello nazionale, e poi il concorso sede per sede,
ovviamente riservato ai possessori dell’idoneità in sede nazionale.
Nel futuro dei Conservatori ci sono solo posti a
contratto?
No. Solo per le cattedre che non si possono coprire con l’organico. Sulle
cattedre in organico si potranno bandire concorsi per posti a tempo
indeterminato. Il regolamento lo dirà chiaramente.
aprile 2012
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