Dove va l'alta formazione
musicale?
Le ragioni per entrare, e quelle per non entrare
nell'Afam
Colloquio con Luisa Vinci e Nadia Nigris, direttore e vicedirettore generale dell'Accademia
del Teatro alla Scala
di Sergio Lattes
L’Accademia del Teatro alla Scala è dal 2001 Fondazione di diritto privato, con
il Teatro come socio di maggioranza, insieme con la Camera di Commercio, il
Politecnico di Milano, la Regione Lombardia, il Comune di Milano, la Fondazione
Bracco, la Provincia di Milano, l’Università Bocconi. Il bilancio è di circa €
6,8 milioni. Il contributo dei soci costituisce circa il 30% del budget. Il
restante 70% proviene dalle rette degli studenti (per un altro 20% sul totale),
da eventi, marketing, fund raising, e dalla vendita del modello formativo a
partner esteri tramite progetti finanziati con fondi europei su bandi vinti
dall’Accademia. Quattro persone dello staff lavorano su questi temi.
Gli
studenti sono presappoco 1000. I docenti a tempo indeterminato sono una trentina
(su 55 dipendenti in totale), quelli a contratto 250. La scuola è articolata in
4 dipartimenti: musica, danza, palcoscenico e laboratori, management, più
un’area dedicata alla didattica (corsi e laboratori sul teatro d’opera e i suoi
mestieri nelle scuole di vario ordine e grado, e formazione docenti). Inoltre
un’area “progetti speciali” (in questo momento: Romania, Rio de Janeiro,
Caracas) dove il modello formativo dell’Accademia Arti e Mestieri viene
venduto, e una linea di eventi (spettacoli, recital, mostre fotografiche,
ricostruzione di costumi storici) che produce annualmente circa 100 eventi:
quest’anno in Oman, Kuwait, Argentina, Brasile, Cina, Spagna, Germania.
La
domanda di riconoscimento Afam non è stata ancora formalizzata, e questo passo è
oggetto di una riflessione che viene ben rappresentata nella conversazione che
segue. Oltre al direttore generale dell’Accademia, Luisa Vinci, ha partecipato
al colloquio il vicedirettore generale, Nadia Nigris.
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Perché pensate di chiedere di entrare nell’Afam, e perché non lo avete ancora
fatto..
Ci stiamo pensando in relazione alla danza. La Scuola di
ballo della Scala compie l’anno prossimo 200 anni, ha uno standard riconosciuto
internazionalmente ed è ora che possa rilasciare un diploma riconosciuto a tutti
gli effetti. Oggi in Italia è abilitata a rilasciarlo solo l’Accademia Nazionale
di danza. Dopo i 18 anni di età (il compimento della formazione dei ballerini
professionisti), formiamo insegnanti di danza. La carriera di un ballerino come
si sa è molto breve. Si tratta dunque di una quarantina di allievi adulti, ed è
ben comprensibile che aspirino a un titolo riconosciuto e valido per
l’insegnamento.
Oggi la nostra formazione comprende un biennio dopo i 18 anni. Per entrare
nell’Afam dovremmo invece attuare 2 trienni (danza classica e danza
contemporanea) e un biennio, più un anno di tirocinio.
Perché non abbiamo ancora formalizzato la richiesta. Lo
abbiamo fatto quattro anni fa, e quella volta la domanda è stata valutata
negativamente dalla sottocommissione del Cnam preposta. Ora il clima è cambiato,
il sistema si sta aprendo a nuove realtà. Dovremmo ripresentarla. Ma abbiamo
delle perplessità, e le diciamo senza problemi.
Un primo ordine di questioni riguarda il reclutamento. Noi
abbiamo solo docenti scelti per chiara fama, che applicano rigorosamente gli
standard scaligeri – che in fatto di danza stanno diventando molto complessi dal
punto di vista metodologico. Rischieremo di dover accogliere per automatismi dei
docenti che non corrispondano a questi standard? e dovremo chiedere ai nostri di
sottoporsi a una sorta di concorso per entrare in una graduatoria nazionale?
Il secondo ordine di problemi è quello economico. La
creazione di due trienni e un biennio è un passo per noi molto impegnativo, e
non ci sono da aspettarsi aiuti economici dal Ministero. Del resto gli stessi
Conservatori hanno dovuto fare la riforma a costo zero. Noi dobbiamo fare bene i
nostri conti: non abbiamo un “socio unico” (Stato, Comune) che ci paghi gli
stipendi, viviamo di ciò che produciamo. Il 70% della nostra attività si
autofinanzia. Da 6 anni abbiamo un bilancio in pareggio. Ogni passo va perciò
valutato in termini di budget.
Aggiungo: magari siamo più avanti degli altri, forse in
capo a qualche anno sarà così per tutti...
Mi sarei aspettato che voleste chiedere il riconoscimento
anche per i corsi per cantanti, o per maestri collaboratori...
Non se ne avverte la necessità. Chi viene al nostro corso
per cantanti cerca una specializzazione di standard molto elevato, per una
professione che non si basa sui titoli di studio. E l’armonizzazione Afam
richiederebbe uno sforzo organizzativo (organi di gestione, consigli, nucleo di
valutazione ecc.) ed economico forse non necessario. Inoltre, si ripropone il
discorso del reclutamento. In questo momento al corso di canto sta insegnando
Mirella Freni. Dovremmo chiederne l’inserimento in una graduatoria? Dovremmo
assumere docenti a tempo indeterminato, laddove invece siamo liberi di
monitorare continuamente la qualità e l’impegno dei docenti, e se necessario di
sostituirli?
Quanto al corso di maestro collaboratore non escludiamo che
si possa chiederne l’equiparazione Afam, ma per ora la cosa non è all’ordine del
giorno. Il placement dei nostri diplomati è altissimo, chi esce dal
nostri corsi torna a casa con la certezza di trovare un lavoro su ciò che ha
studiato, e di non dovere ripiegare su altri impieghi. La “popolazione” del
nostro corso per maestri collaboratori è di soli 8 studenti su un biennio,
selezionati molto severamente. Il problema del valore legale del titolo è
francamente poco sentito.
Fa
eccezione, come si diceva, il caso degli insegnanti di
danza. Qui invece c’è il problema dei licei coreutici che stanno crescendo, e
per insegnarvi occorre il titolo specifico. Verosimilmente lo stesso sarà in
futuro per aprire una scuola di danza.
Torniamo dunque alla danza. Pensereste di erogare “in casa”
tutte le discipline che l’ordinamento prevede?
Non sono molte le discipline che non siano già attive nella
nostra attuale organizzazione. Anzi, forse abbiamo qualcosa in più. Però dovremo
sottoporci al vaglio sia del Cnam che dell’Anvur, non solo per la didattica ma
anche per gli spazi e le strutture. E prima ancora, al vaglio del nostro
Consiglio di Amministrazione perché, come si diceva, ogni nostro progetto deve
avere un equilibrio in termini di budget. Abbiamo valutato anche un’altra
ipotesi: quella di convenzionarci con una facoltà di Scienza della Formazione
per costruire il titolo, fornendo noi gli insegnamenti “tecnici” e l’Università
tutti gli altri. In questo caso il titolo sarebbe conferito dall’Università, in
collaborazione con noi. Sarebbe una soluzione molto meno complessa di quella
dell’ingresso nell’Afam con la nostra struttura. Stiamo dunque valutando la
questione.
Avete un corso di management, che fate con la Bocconi.
E’ un master. Il primo anno lo abbiamo fatto direttamente
con l’Università e dava dei crediti formativi, poi lo abbiamo fatto con la SDA
(Scuola di direzione aziendale), senza crediti, e nessuno ne sente il bisogno.
Quello che conta è la qualità, il placement che se ne ottiene. E contano gli
stage, fino a sei mesi, in teatri anche esteri: come per gli altri nostri corsi,
i tutor si preoccupano fin dalla metà dell’anno di cercare dove mandare gli
studenti in stage. In totale abbiamo a questo fine qualcosa come 500 convenzioni
in tutto il mondo.
Questo approccio vale per molti dei nostri corsi, negli
ambiti più diversi. Ovvero: ci sarà pur qualche ragione se i giovani, oltre a
fare il corso che conferisce il titolo (in ambito statale, o anche
afam-riconosciuto, e talvolta sono corsi molto costosi), vengono poi da noi. Qui
imparano nella pratica, a contatto con la produzione e con i
professionisti, fianco a fianco con loro. I nostri docenti sono per circa il 60%
costituiti da personale del Teatro: artistico, tecnico. E i profili formativi
sono molti, dal cantante al maestro collaboratore, al tecnico del suono, allo
scenografo, al fotografo di scena. Fino a tutti i mestieri “classici” del
teatro: falegnami, attrezzisti, elettricisti.
Vorrei fare un’ultima notazione, a proposito della nostra
attuale riflessione sull’Afam. Alcune realtà private vi si stanno avvicinando, e
altre vi sono già entrate. Alcune di queste realtà hanno costi molto elevati per
lo studente. Noi siamo invece molto preoccupati di mantenere la nostra
fisionomia di scuola di merito e non di censo. Le nostre rette sono di
gran lunga inferiori a quelle di altre realtà private, e da noi si entra con una
selezione molto, molto severa. A questa natura della nostra scuola non vogliamo
rinunciare, e questo condiziona l’equilibrio finanziario dei nostri progetti.
maggio 2012
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