Il DDL Scuola e l'Afam
Conversando sul DDL Scuola (e altro ancora) con Paolo Troncon, presidente della Conferenza dei direttori
di Sergio Lattes
Il 9
luglio 2015 il Parlamento ha licenziato il DDL-Scuola (legge 107 del 13 luglio
2015), ampio e tormentato
provvedimento del governo Renzi sull'istruzione. Alcuni punti della legge
riguardano specificamente l'alta formazione musicale, pur se la prospettiva
della sua riforma (o del completamento della sua riforma) rimane del tutto
esterna al perimetro della legge.
Di
queste ripercussioni sull'Afam abbiamo parlato con il presidente della
Conferenza dei direttori dei Conservatori, e il discorso si è inevitabilmente
allargato a molte delle questioni aperte nel comparto dell'alta formazione
musicale, a 16 anni dalla riforma non ancora portata a termine.
“L’Italia è, tra i maggiori paesi europei, la nazione
con il minor numero di laureati, ma con il maggior numero di giovani laureati
che vanno a cercar fortuna e, se possibile, a lavorare all’estero. In campo
musicale le cause sono varie. Non certo l’assenza di amore verso il “bel paese”,
né la mancanza in Italia di una solida tradizione formativa in campo artistico,
anche oggi nel complesso molto valida. Piuttosto, il nostro sistema è
tradizionalmente altamente protettivo, anche oltre ogni logica, verso chi è già
“dentro”, comunque sia entrato e a prescindere dall’efficacia del servizio che
effettivamente rende alle istituzioni, e dà quasi nulle possibilità ai giovani,
spesso molto bravi, che ne sono fuori. La qualità dell’offerta, che per i
Conservatori dovrebbe essere sempre molto alta, ne risente conseguentemente.
In queste righe è forse racchiuso il nocciolo della
riflessione di Paolo Troncon, presidente da novembre 2013 della Conferenza dei
direttori dei Conservatori, in una conversazione che ha preso avvio dalla
valutazione delle ripercussioni del DDL Scuola (approvato il 9 luglio scorso
come legge 107) sull’alta formazione musicale. Per allargarsi via via ai temi
maggiori dell’Afam e della sua riforma.
Ma andiamo con ordine.
Il DDL “La Buona Scuola” (Legge
13 luglio 2015, n. 107)
Troncon parte comprensibilmente dai soldi, per dare un
giudizio sulla legge che dichiara senza esitazione positiva per l’Afam. Il fondo
per il funzionamento ordinario delle istituzioni statali (in gergo FFO) passa
dai 4,7 milioni decisi dall’ultima legge di stabilità (fortemente ridotti
rispetto al 2014, che prevedeva 9 milioni) a 11,7 milioni (comma 26 della
legge). E questo fino al 2022. In più, c’è 1 milione di euro (solo per il 2015)
per i quattro ISIA (comma 53), soldi questi che in precedenza venivano prelevati
dal FFO. Quindi rispetto alla previsione precedente il FFO 2015 aumenta di 8
milioni di euro, cioè – sottolinea con enfasi – “viene quasi triplicato! Finora
non si era mai visto altro che tagli”. Ci sono inoltre soldi per gli ISSM (ex
Istituti Musicali Pareggiati): al comma 54 sono stanziati 2,9 milioni per il
2015 e 5 milioni dal 2016 in poi. Quindi sono fondi “a regime” e non
una tantum. Certo non è l’auspicata
statizzazione, che la 508 prevede possibile, ma senza oneri per lo Stato. Ma
comunque è un segnale di attenzione concreto che dà respiro a queste
istituzioni, in gravi difficoltà economiche. S’intende, in attesa del riordino
del sistema Afam previsto dalla legge di riforma e annunciato da tempo dal
ministro.
C’è inoltre la nuova possibilità per le istituzioni di
accendere mutui trentennali per l’edilizia (comma 173), con i costi di
ammortamento a carico dello Stato. Molti Conservatori hanno sedi storiche che
necessitano di restauri importanti. Si tratta dunque di una opportunità
preziosa.
Le
norme
Il DDL approvato (comma 27) prevede che “nelle more”
(come ormai troppo spesso si usa dire) del futuro insediamento del CNAM, possa
essere “scavalcato” l’obbligo del parere del CNAM stesso, previsto in molti casi
dalla legge 508. Questo obbligo non soddisfabile - perché il CNAM è sciolto da
molto tempo (fine 2012) - è all’origine di una parte dell’attuale stallo del
sistema. Troncon è prudente nel fare previsioni. Ritiene senza dubbio
provvisoria questa soluzione e necessario che il CNAM sia ricostituito al più
presto. Ma ritiene finalmente ora possibile con questa norma apportare modifiche
ai trienni: finora negate dal Ministero, dal quale comunque occorreranno
ulteriori istruzioni. E sarà possibile risolvere altre disfunzioni eclatanti,
come quella di istituti che ottengono, attraverso la conversione di cattedre, i
docenti per nuovi corsi di diploma che vogliono attivare, ma non possono
ottenerne l’istituzione per via del mancato parere del CNAM, lasciando così
studenti e docenti senza funzione. E questo anche laddove l’istituto dichiara di
assumere integralmente da un altro Conservatorio un curricolo già autorizzato e
approvato da MIUR e CNAM…
“Forse si potrà anche mandare a ordinamento i bienni,
in versione diversa e aggiornata rispetto a quelli del 2004 cui oggi facciamo
ancora riferimento”, dice ancora Troncon. Ma qui il discorso si allarga oltre il
DDL, ed è più complesso. “Vero che la legge 228 del 2012 autorizza i
Conservatori a mandare motu proprio ad
ordinamento i bienni, senza ulteriori procedure autorizzative: ma si tratta
evidentemente ed esclusivamente dei bienni già autorizzati dal MIUR, discendenti
dal DM 1 del 2004, a suo tempo visionati anche dal CNAM. Bienni che oggi
necessitano di una revisione profonda, in quanto spesso scollegati dai trienni;
bienni che, anche a ordinamento, per essere modificati (come richiesto)
avrebbero comunque bisogno del MIUR”.
La Conferenza dei direttori ha chiesto perciò al
Ministro la decretazione necessaria per poter ridisegnare coerentemente il
sistema, sia nel primo che nel secondo livello. Occorre che la struttura del
biennio Afam sia coerente con quella della laurea magistrale universitaria.
Occorre utilizzare i settori artistico-disciplinari decretati nel 2009 e 2013,
ridurre il numero degli insegnamenti e il numero degli esami. Preliminarmente
vanno inoltre definiti con decreto i livelli (tecnici) di accesso al triennio,
tema “sul quale oggi c’è una Babele” - dice, e c’è da credergli. “Per rendere
omogeneo il sistema”, sottolinea. “Per il biennio la legge 228/2012, che
riguarda il consolidamento di una fase ormai vecchia, non appare la risposta
appropriata al problema e all’urgenza di avere al più presto l’ordinamento. È
fondamentale per le istituzioni AFAM avere un biennio
che funzioni oggi e per i prossimi anni, che sia competitivo a
livello europeo! E si tratta di rendere al più presto operanti tutti i cinque
tipi di titolo previsti dal DPR 212/2005: triennio, biennio, specializzazione,
perfezionamento, formazione alla ricerca”.
Pre-accademici
Il DDL “Buona Scuola” contiene una generica
raccomandazione al governo di occuparsi
dell’armonizzazione dei percorsi formativi di tutta la filiera del settore
artistico-musicale, con particolare attenzione al percorso pre-accademico dei
giovani talenti musicali, anche ai fini dell’accesso all’alta formazione
artistica e musicale e all’università (comma 181). Chiedo: finora i
pre-accademici sono stati gestiti in autonomia dai singoli istituti. Su questo
tema Troncon è netto. “È giusto che i cosiddetti corsi pre-accademici siano
gestiti localmente e autonomamente (volontariamente) come libere attività
formative dalle singole istituzioni: non fanno e non possono far parte
dell’ordinamento dei corsi di studio previsti dal DPR 212/2005. Se ne facessero
parte, non ci sarebbe più la riforma”.
Ma il discorso che propone è molto articolato e
complesso, e su questo terreno annuncia una proposta in arrivo dalla Conferenza.
Sul tema ci sono pregiudizi per così dire ideologici che da più parti lo fanno
affrontare “di pancia”. Serve invece una riflessione approfondita, che implica
una conoscenza più accurata della storia e della funzione di queste importanti
attività formative. L’idea centrale della proposta è che il pre-accademico debba
essere il curricolo formativo professionalizzante, cioè finalizzato all’accesso
al triennio. Che debba essere costruito organicamente come “curricolo
verticale”, e che possa essere attuato da istituzioni di diverso tipo: scuole
pubbliche e private. Al Conservatorio che lo produce deve spettare la
certificazione dei livelli di competenza, riferiti appunto al proprio curricolo.
Quei Conservatori, invece, che sceglieranno di continuare a fornire l’intero
curricolo pre-accademico, lo potranno ovviamente fare: rientra nella loro
autonomia. Ma non a carico dello Stato, cioè fuori dal monte-ore dei docenti
coinvolti.
Questo vale per quelle che chiama le prime due fasi, o
primi due periodi (generalmente chiamati “A” e “B”): quello iniziale, in cui
l’allievo deve ancora orientarsi nella vocazione musicale nella scelta dello
strumento, e quello intermedio, in cui ha appena cominciato a studiare
seriamente quello strumento. Queste fasi formative, che vedono un’alta
percentuale di “mortalità”, non possono in futuro spettare al Conservatorio
riformato, perché non hanno a che fare con la missione statutaria come è
definita dalla normativa. Il Conservatorio riformato,
a regime, dovrà solo curare la formazione superiore, e la fase
immediatamente precedente.
Altro discorso va fatto per la terza fase, quella degli
ultimi anni, dedicata a quella parte degli allievi in cui viene maturando
l’orientamento verso l’alta formazione, cioè la volontà e la capacità di
iscriversi al triennio. Questo livello Troncon lo chiama “propedeutico” (termine
mutuato dal DPR 212/2005) e può corrispondere al
Pre-College che si trova spesso in istituzioni europee di alta
formazione musicale, anche prestigiose. E cita Royal College di Londra,
Mozarteum di Salisburgo, Hochschule di Hannover, Colonia, Monaco... “Questo
livello – ribadisce - può quindi far parte a tutti gli effetti del Conservatorio
riformato”.
Così come ne deve far parte la cura dei “talenti
precoci”, cioè di quei ragazzi che raggiungono un livello strumentale e musicale
elevato – corrispondente almeno al triennio – senza avere l’età o i requisiti
obbligatori per potersi iscrivere al triennio o biennio (anche considerando le
deroghe previste dal DPR 212/2005). Sono solo una piccola percentuale, ma – dice
– “quando ci sono non si sa come trattarli e gli studenti talentuosi vengono
quindi persi!”. E, ricorda infine, nel Conservatorio riformato – come previsto
dal “Processo di Bologna”, deve trovare posto a livello normativo la “formazione
permanente”, cioè quella che viene svolgendosi oggi nei corsi di perfezionamento
diffusi sul territorio e spesso tenuti da docenti dei Conservatori.
La distribuzione territoriale del sistema, e gli altri nodi irrisolti della
riforma
La conversazione inevitabilmente si allarga alle
questioni irrisolte della riforma. Sulla distribuzione delle istituzioni sul
territorio Troncon ritiene necessario insistere per la conservazione di tutte le
sedi attuali, perché ogni istituto ha una propria storia importante – comunque
non meno di mezzo secolo - e, specie
per le situazioni più piccole, localmente svolge un ruolo culturale
fondamentale: basti vedere il numero di produzioni che ogni Conservatorio
organizza sul territorio. Però l’attuale organizzazione territoriale è ancora
quella degli anni Settanta del secolo scorso, nata da esigenze che da
cinquant’anni in qua sono radicalmente cambiate. Ci sono squilibri evidenti, ma
la creazione di aggregazioni o di poli
consentirebbe di razionalizzare la presenza degli insegnamenti sul territorio,
preservando gli organici dei docenti. “Certo, ci sarà qualche direttore e
qualche presidente in meno, ma questo è un altro problema”, commenta.
L’argomento degli organici conduce ad altre questioni
“spinose”. 6.000 docenti (fra Conservatori statali ed ex IMP) sono pochi o
tanti? Anche qui ci sono squilibri evidenti, generati dalla perdurante
ingessatura del sistema: l’organico è numericamente uguale a quello del 1999, e
le uniche varianti da quindici anni a questa parte sono date dalle conversioni
di cattedra approvate. Ci sono settori con pochi docenti e molti studenti, e
settori con docenti in numero superiore alle effettive necessità. I settori
“nuovi” hanno pochi, o pochissimi docenti di ruolo, e comunque un numero
insufficiente di posti loro riservati negli organici: vale per la musica antica,
che è stato il primo dei nuovi trend;
vale per il jazz, che è esploso poi; e domani, prevede Troncon, sarà così per il
pop.
Gli chiedo se gli sembra giusto che le istituzioni assecondino passivamente
queste tendenze, che talvolta sembrano mode. Mi risponde che il Conservatorio
“storico”, quello degli strumenti dell’orchestra sinfonica, più il pianoforte,
l’organo, la chitarra, il canto, la composizione, la direzione d’orchestra, va
certamente salvaguardato: questo è fuori discussione. “Ma il Conservatorio deve
andare a tempo con le trasformazioni
della società, e magari saper anche anticipare quelle che possono avere maggiore
rilevanza e peso. In questo senso il Conservatorio può indirizzare le tendenze,
non solo “subirle”, favorendo i processi che possono storicamente avere maggiore
valore. D’altronde se il numero degli studenti superiori (quelli che pagano la
tassa sul diritto allo studio) è passato dal 20% del 1999 al quasi 50% dell’a.a.
2014-15, lo si deve soprattutto ai nuovi settori introdotti con la riforma”.
Programmare e reclutare
Il discorso si sposta dunque sul piano della
possibilità di programmare il sistema. Troncon ricorda che nei prossimi sette
anni il 50 per cento degli attuali docenti dovrebbe andare in pensione. “Bisogna
quindi avere un piano pluriannuale di reclutamento” – aggiunge. E per
salvaguardare il numero totale dei posti dell’organico nazionale bisogna avere
la possibilità di assumere docenti in base a questa programmazione, piuttosto
che in base a meri automatismi. Qui il discorso di Troncon è molto netto. Il
reclutamento va effettuato in base alla valutazione del curricolo professionale
e del profilo del docente, secondo una valutazione effettuata a cura delle
istituzioni che ricevono il docente, non in base a criteri nazionali che
prescindono dalle effettive esigenze dei Conservatori. In questa fase va però
sicuramente presa in considerazione l’esistenza di un alto numero di precari
(oltre il 20% nei Conservatori statali), che in larga parte sono altamente
professionalizzati. Per tutti quelli che hanno già dimostrato il loro valore è
interesse delle istituzioni che siano al più presto e prioritariamente messi a
ruolo. A regime, però, il presupposto dev’essere che “la scuola non può essere
costruita in funzione dei docenti, ma deve essere funzionale all’utenza e alla
società”.
Per programmare ci vuole anche una cabina di regia che
funzioni. Gli chiedo quindi se vede le condizioni necessarie, in primo luogo a
livello politico e ministeriale. Risponde che ha fiducia nel ministro Giannini e
nella sua visione. E pensa che ai livelli massimi del ministero ci sia
consapevolezza dei problemi del comparto AFAM, e sincera volontà di intervenire.
I punti interrogativi, dice, riguardano i tempi e la capacità di realizzazione.
Sui tempi l’esperienza, anche recente, non è incoraggiante. E guardando più
indietro, mi fa una storia fra il comico e il grottesco del “regolamento che
manca”, quello sul reclutamento. È stato scritto ai tempi di Moratti ministro
(2005) e sistemato dal sottosegretario Dalla Chiesa (2006). Da allora è stato
annunciato di volta in volta in uscita “per la settimana prossima” o al più
“entro l’estate”. Dice: “… estate sì, ma non si sa di quale anno…”.
In più, aggiunge, c’è che il sistema è sempre più
complesso, con i problemi irrisolti che si stratificano sempre di più formando
una matassa inestricabile. Più si tarda a intervenire, più le cose si complicano
ed è sempre più difficile venirne a capo.
Un uomo solo al comando?
È chiaro che Troncon è per una maggiore responsabilità
del direttore nella valutazione e nella scelta dei docenti, in piena sintonia
con la “Buona Scuola”. Allora gli chiedo se questa figura è compatibile con
l’elettività del direttore, che tutto sommato è uno dei pochi risultati ben
visibili della riforma. La risposta è prudente ma chiara: l’elettività di per sé
sembra fatta per “garantire” l’elettorato, cioè
i docenti, ma non sempre garantisce l’istituzione, che non è solo la
sommatoria dei docenti che vi insegnano. L’elettività è stata introdotta, a suo
parere, più per una sorta di complesso di inferiorità nei confronti
dell’Università (cui si invidiano soprattutto gli stipendi), ma il paragone a
riguardo non può essere ragionevolmente fatto, e comunque non è questo che
equipara l’Afam all’Università. Troncon si dichiara favorevole all’elettività
del direttore (lui stesso è stato eletto quattro volte da due diversi collegi
dei professori) ma insiste sul punto che va evitato che questa procedura porti
alla guida candidati privi delle necessarie esperienze e competenze, “quelle che
veramente servono!”. La famosa formula del direttore “primus inter pares” è
stata a suo giudizio male interpretata. All’istituzione serve una figura unica
di riferimento di tipo dirigenziale: di sicuro questo è indispensabile nei
confronti dell’amministrazione interna con cui il direttore si relaziona più
spesso. “Ogni giorno ci sono molte decisioni anche difficili da prendere, e chi
ha la responsabilità di farlo deve essere adeguato al ruolo. Il collegio dei
professori votante generalmente non considera, o sottovaluta, queste
problematiche”. Per risolvere il problema basterebbero criteri più rigorosi per
l’elettorato passivo: criteri che dovrebbero essere più ampi e dettagliati di
quelli oggi richiesti (una generica esperienza di direzione), e verificati anche
dal MIUR.
“Va anche detto – conclude - che la figura di direttore
che ne verrà fuori, scelto dai professori ma molto più professionalizzato, dovrà
essere anche coerentemente compensata!”
luglio 2015
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