"Uscire dal ghetto" di Eros
Roselli: un libro sui Conservatori e sulla loro riforma
Non lo consiglierei come lettura amena a un amico non
musicista, ma Uscire dal ghetto - Riflessioni sulla riforma dei Conservatori
di musica a 15 anni dall'approvazione della legge 508 di Eros Roselli
(Armando Editore,
2015, €14) è un libro prezioso per chiunque lavori nei Conservatori italiani.
Non solo perchè fa un po' da manuale nel groviglio
di norme che, sopratutto negli anni recenti, ha avvolto queste istituzioni. Che,
dopo la legge di riforma del 1999 e alcuni dei decreti legislativi conseguenti,
sono state oggetto di vari interventi legislativi spot, sconnessi l'uno
dall'altro, e per di più disseminati in una serie eterogenea di leggi - leggi di
stabilità, leggi sulla scuola generale, decreti "Milleproroghe". Il che
trasforma in una sorta di caccia al tesoro per specialisti il solo tentar di
conoscere le norme vigenti.
Ma anche perché dà alle questioni della riforma una
prospettiva storica, che in genere sfugge a chi deve star dietro alla vita delle
istituzioni con l'affanno del quotidiano: qualunque sia la sua posizione nella
vita accademica.
Scopriamo così per esempio che le discussioni
cruciali che hanno attraversato il corpo accademico intorno alla riforma, come
quella dell'equilibrio o dello squilibrio fra formazione "pratica" allo
strumento e formazione musicale/culturale, furono presenti tal quali ai tempi
del varo del "vecchio" ordinamento, negli anni '30 del secolo scorso. E che già
allora erano in conflitto le opinioni di chi pensava che le materie "culturali"
non dovessero essere di ostacolo alla centralità della formazione "pratica", e
di chi riteneva che un musicista non possa non avere scienza e coscienza di quel
che fa, per essere veramente un musicista.
Certo i termini della questione da allora si sono un
po' spostati per l'innalzamento dell'obbligo scolastico, il quale ha tolto dalla
discussione le discipline generali tipiche della scuola ordinaria: il
Conservatorio non deve più occuparsene. Ma la contrapposizione teoria-pratica si
ripropone per tutte le discipline che caratterizzano la formazione musicale.
Già dunque nei primi decenni del '900 c'erano voci
autorevoli che denunciavano la cattiva formazione dell'allievo non solo sul
piano della cultura "generale" ma anche su quello della cultura musicale. C'era
anzi chi vedeva in questa carenza il fondamento e la causa di una scarsa
efficacia della stessa formazione "allo strumento". E c'era chi criticava la
stessa centralità della formazione strumentistica, invocando una formazione
"alla musica" di cui lo strumento fosse solo un aspetto. O addirittura di cui si
potesse fare a meno, per votare i Conservatori alla formazione del pubblico
della musica. Ritenendo che la coltivazione dei talenti fosse parte marginale
della questione, risolvibile attraverso l'insegnamento privato.
Tutto questo fermento di idee, ormai dimenticato ma
estremamente istruttivo, viene rievocato con dovizia di documentazione e di
citazioni testuali. Al quadro storico seguono le sezioni dedicate ripettivamente
all'analisi del "vecchio" ordinamento e di quello nuovo incompiuto, e non si
tratta solo di elenchi di norme e regolamenti ma anche di una riflessione sui
presupposti culturali e ideologici che stanno dietro all'assetto istituzionale,
e lo motivano. E puntuale è l'analisi delle ragioni per cui la riforma del '99
(che, non dimentichiamolo, non fu generata "all'interno" del sistema ma fu
imposta da un vincolo internazionale) è entrata in conflitto, per molti docenti,
con mentalità e abitudini consolidate e con il senso stesso che essi davano (o
danno) al proprio operare nella scuola.
Una buona bibliografia permette al lettore
interessato di orientarsi verso possibili approfondimenti.
Infine, perché "ghetto"? Perchè viene ben descritto
il regime di reciproca convenienza in cui i musicisti si isolano nel proprio
specifico, relazionandosi perennemente solo ad esso, e gli "altri", cioè il
mondo della scuola e dell'Università, ce li lasciano volentieri - purché
s'intende non diano fastidio. Ovviamente il presupposto di questo regime di
isolamento è la separazione istituzionale dei Conservatori dalla scuola e dal
sistema universitario, che la riforma ha messo in discussione ma non troppo (in
vari Paesi la formazione musicale superiore è parte dell'Università). E, più in
profondità, ne è presupposto la condizione italiana in cui solo poche persone
"praticano" la musica, e quindi la pratica musicale e il suo insegnamento sono
visti come una faccenda per pochi iniziati, cui si riconosce uno spazio dove
fare le loro cose. Purché sia appunto separato.
Un libro dunque utile, in un ambiente dove gli
strumenti di informazione e di autoformazione del corpo docente sono
drammaticamente limitati, così come lo sono gli strumenti (riviste
specializzate, associazioni professionali, siti internet) di circolazione delle
idee e del sapere che sono tipici delle professioni, e di quelle intellettuali
in particolare.
(s.l.)
aprile 2016
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