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INTERVENTI

 

Che cosa ci aspettiamo dal nuovo ministro

di Claudio Proietti
direttore del Conservatorio di Genova

  

La crisi di governo e l’arrivo del nuovo ministro dell’Università coincidono, nel nostro comparto, con la particolare circostanza che è finita da poco la lunga direzione generale di G. B. Civello, e può darsi che non ci sarà un altro direttore generale Afam - se andrà in porto la ristrutturazione del Miur di cui si è sentito nei mesi scorsi. Che cosa ci si attende dunque dal nuovo ministro? E’ questo il tema della riflessione proposta da Claudio Proietti.

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 Quale che sia il giudizio sull’operato di Giorgio Bruno Civello, per 9 anni direttore generale per l’AFAM del MIUR, è innegabile che egli abbia svolto un ruolo decisivo in una fase cruciale per il sistema. Nell’assenza quasi totale dell’istanza politica, fatta salva la breve parentesi di Nando Dalla Chiesa (qualcuno ricorda l’epoca lontana in cui c’erano dei parlamentari “fatti eleggere” appositamente per occuparsi delle riforme in ambito musicale?), Civello ha concretamente “disegnato” l’identità del comparto AFAM, è riuscito a mantenerlo compatto e a contrastare adeguatamente le mille spinte centrifughe dettate dai particolarismi e dai corporativismi. Certo, in una tale azione era insito il pericolo di alcune conseguenze negative sul piano della gestione che, in conclusione, si sono concretizzate nell’estrema fluidità di un sistema nel quale, all’assoluta uguaglianza della forma esteriore, corrispondono nella realtà fattuale istituzioni diametralmente diverse per caratteristiche, modelli operativi e soluzioni gestionali. 

In pratica la politica – per disinteresse, disinformazione e, forse, anche per l’obiettiva marginalità, se non altro numerica, del settore -  ha delegato in toto alla burocrazia l’attuazione di una riforma che doveva essere epocale ed è diventata mitica. Imponendo la propria impronta solo in termini di diktat economici.

Credo che questa sia la ragione di fondo dell’interminabile processo di attuazione della legge 508. Per averne conferma, sarebbe bastato leggere la luce di rinvigorita speranza evidente negli sguardi dei direttori di Conservatorio presenti a Roma, dopo l’incontro con l’allora sottosegretario Galletti che aveva lanciato una serie di impegni, “politici”, a concretizzare i tasselli mancanti all’attuazione della riforma (p.es. il famoso Regolamento sul funzionamento e il reclutamento del personale) e ad aprire settori (p.es. quello degli Assegni di ricerca) finora tabù per l’AFAM. Il tutto in forza di una acquisita consapevolezza dell’importanza strategica per il paese del settore della formazione artistica e musicale, il più apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo. Poi sappiamo come sia andata a finire, grazie alla legge di Stabilità 2014, e come lo stesso Galletti, al quale rivolgiamo i nostri migliori auguri, si occupi oggi di tutt’altra materia essendo stato promosso Ministro dell’Ambiente.

La Conferenza dei direttori ha da poco intrapreso uno straordinario sforzo per definire i problemi che si sono evidenziati nell’ultimo decennio, elencare le priorità, catalogare il patrimonio di esperienze messe in atto, individuare e confrontare le mille diverse risposte date a domande analoghe: in due parole “ordinare” e “mettere in comune”. Se, come credo, questo lavoro porterà dei risultati concreti, non saremo però che a metà (o forse ancora meno) del cammino necessario. Perché la Conferenza dei Direttori, organo consultivo e di supporto, non è un parlamentino e quindi non può assumere alcuna funzione normativa. E’ fondamentale che essa veda riconosciuto sempre più il suo ruolo di riferimento tecnico prioritario, ma tocca ad altri definire le strategie, fare le scelte, stabilire le tappe e i criteri.

E’ chiaro che ciò attiene alla sfera assoluta delle responsabilità etico-politiche (“ciascuno faccia ciò che gli compete fare”), ma purtroppo l’affermazione precedente è dettata anche dalla realistica e quasi drammatica constatazione della realtà: il sistema della formazione musicale italiana non è in grado di autoriformarsi, non ha la forza per portare a compimento dall’interno ciò che manca alla riforma. Non è quasi mai in grado - nonostante la forte sintonia esistente fra i direttori e la condivisione sincera delle analisi – di procedere compattamente in un’unica direzione (si vedano per esempio la pasticciata questione dei PAS, la gestione dei corsi preaccademici, i rapporti con gli studenti stranieri).

E non c’entrano, o almeno non solo, la voglia d’autonomia o la furbizia del singolo, la potenza del campanilismo, la concorrenza  più o meno leale con le altre istituzioni. Troppo diverse sono le realtà, diversi i legami e le relazioni col territorio, diversi gli equilibri di governance all’interno delle istituzioni, diversi i rapporti con le forze sindacali, diversa la forza e l’autonomia del direttore, diversa la storia e la composizione del corpo docente, diversi, almeno fino ad ora, i trattamenti economici da parte del ministero.

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Ci sono alcuni nodi cruciali che andranno per forza sciolti perché la riforma possa essere attuata in pieno e si possa finalmente capire se è in grado o no di funzionare rispondendo alle storiche necessità che l’hanno determinata: la distribuzione territoriale delle istituzioni e il loro ruolo nel sistema di formazione musicale pubblica; l’armonizzazione dei criteri di accesso e dei livelli di competenza in uscita dalle varie fasce della formazione accademica; la collocazione dell’indispensabile formazione antecedente i livelli accademici e quindi i rapporti con le scuole medie e i licei a indirizzo musicale; la definizione dei criteri di valutazione relativi al funzionamento e alla qualità del servizio erogato da ciascuna istituzione; l’affermazione dell’autonomia come possibilità di progettare liberamente la propria offerta formativa, ma all’interno di un sistema di standard qualitativi riferiti ai contenuti, ai docenti e all’organizzazione; la disponibilità di risorse economiche per l’adeguamento agli standard di riferimento europei delle strutture e dell’offerta formativa. 

Sciogliere questi nodi è compito della politica, una volta che abbia ascoltato e meditato attentamente i pareri di chi quotidianamente con essi si confronta. E ciò andrà fatto inevitabilmente, anche a costo di scrivere una legge 508 bis.

Tutto ciò noi speriamo di cuore che sia almeno avviato, se non realizzato, dal nostro nuovo Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca.

febbraio 2014

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