HOME PAGE
 
 CHI E PERCHE'
 
 INTERVENTI
 
 DOCUMENTI
         - noi e l'Europa
         - dall'Italia
         - dalla stampa
         - oltre la musica
            (documenti e articoli
             d'interesse generale)
         - appuntamenti
 
 DIDATTICA
 
 RISORSE
 
 ARCHIVIO
 
 MAPPA
 
ASSOCIAZIONE PER L'ABOLIZIONE DEL SOLFEGGIO PARLATO

INTERVENTI

sei in: INTERVENTI>LA CULTURA DELL'AUTONOMIA


La cultura dell’autonomia nel processo di riforma del sistema AFAM:
 un’opportunità trasformata in problema

 di Paolo Troncon
direttore del Conservatorio di Musica di Vicenza “Arrigo Pedrollo”

  

A dieci anni dall’emanazione della legge di riforma del sistema AFAM i temi di attualità rimandano ancora oggi a situazioni problematiche alle quali si prevedeva di dare soluzione negli anni immediatamente successivi la pubblicazione della L. 508 (1999) e che invece sono rimaste irrisolte. Questioni del tipo:

-        Come sarà organizzato il sistema nazionale dell’alta formazione musicale, anche rispetto al contesto europeo? quanti conservatori potranno avere trienni e bienni? come saranno distribuiti sul territorio nazionale? su quali criteri verranno fatte le scelte?

-        Come recuperare l’omogeneità e la coerenza del lungo curricolo formativo musicale (esigenze un tempo garantite dal Conservatorio e dalle “replicanti” scuole private) dato che la legge prevede e suppone che la formazione pre-accademica (cioè pre-AFAM) venga divisa tra diversi enti (pubblici e privati) non necessariamente comunicanti tra loro e con il Conservatorio?

-        Quali licei musicali? soprattutto, in quale rapporto con i conservatori?

-        Quale stato giuridico sarà assegnato ai docenti oggi a tempo indeterminato e determinato e a quelli di futura assunzione? e di conseguenza, quale nuova organizzazione del lavoro, quale corrispondente salario, come inquadrare il nuovo personale nei conservatori, ecc.?

-        Come formare e qualificare i nuovi quadri dirigenti (direzione, presidenza, figure di sistema, oggi persone “prestate” a fare un lavoro in larga parte diverso da quello di appartenenza e quindi “autodidatti”) e aggiornare/promuovere il personale interno? (condizioni queste necessarie per realizzare la missione stabilita negli statuti di autonomia, cioè la “triade” ricerca-didattica-produzione, che caratterizza l’alta formazione musicale). 

*********
 

Le questioni irrisolte, a 10 anni dalla riforma

In questi dieci anni il sistema AFAM, visto dall’alto, cioè giudicandolo dal lavoro delle organizzazioni e istituzioni nazionali, ha dimostrato molte e gravi debolezze. Registriamo oggi, infatti, un grande ritardo nel perseguimento di orientamenti condivisi rispetto al futuro, e il mondo dei conservatori, seppur molto ristretto e scarsamente rappresentativo all’interno di quello della formazione pubblica italiana (università, scuola) e rispetto al mondo dello spettacolo (enti lirici, associazioni di danza, cinema, musica, teatro), è ancora desolatamente diviso.  

Gli organismi rappresentativi il nostro settore a livello nazionale (CNAM, Conferenza dei direttori, sindacati, ecc.) hanno manifestato negli anni divisioni interne (soprattutto tra sindacati), difficoltà a creare sinergie (per esempio nella “lotta” tra il precedente CNAM e la Conferenza dei direttori, poi per fortuna scemata col nuovo CNAM), scarsa consapevolezza dei limiti di competenza e di funzione di ciascuna organizzazione (specie per alcuni sindacati che male hanno digerito la nascita di nuovi organismi tecnici decisionali come la Conferenza dei direttori e i Consigli accademici), scarso impegno a darsi maggiore autorevolezza attraverso azioni di grande qualità ed efficacia (affidandosi troppo sull’autorità, più che sull’autorevolezza), scarso feeling in generale, al di là di qualche isolato appoggio, con gli interlocutori politici dell’amministrazione statale, visti gli oggettivi magri risultati ottenuti in questi anni. 

Gli organismi nazionali (nel loro lavoro ufficiale) non paiono oggi soprattutto in grado di produrre visuali complessive di sistema, moderne ed innovative, e di volersi emancipare dalle vecchie logiche di appartenenza politica o sindacale.

 Drammatica sull’altro lato è la lentezza dimostrata da chi ha la responsabilità di produrre gli atti legislativi necessari a completare la riforma, dato che mancano ancora, dopo dieci anni, diversi adempimenti normativi esplicitamente previsti dalla legge (soprattutto la L. 508/99 e il DPR 212/05, almeno dieci).

Preoccupante è la sostanziale crescente indifferenza verso il processo di riforma da parte di vario personale docente e non dei conservatori (per via anche della debolezza degli organismi prima citati), e come causa di questa indifferenza si nota bene nei conservatori come una parte del personale continui a fare esattamente lo stesso lavoro di una volta, come se nulla fosse successo in questi anni!

Imbarazzante è infine constatare che da parte degli organi statutari e rappresentanze sindacali interne (direttore, consiglio accademico, presidente, collegio dei professori, RSU, ecc.) persiste in alcuni conservatori un’insufficiente conoscenza e coscienza delle proprie funzioni, degli specifici ambiti e dei limiti di competenza entro i quali correttamente agire.

*********
 

Un “sistema” debole e diviso:
lentezza del legislatore,
sfiducia nella riforma,
scarsa conoscenza di ruoli e limiti degli organi

Nonostante questo quadro desolante, molti docenti e conservatori italiani hanno lavorato intensamente in questi anni creando le condizioni per una vera e propria svolta e un reale rilancio qualitativo del sistema nazionale AFAM. Tutte condizioni create autonomamente dal basso in diverse parti d’Italia, attraverso esperienze locali che hanno avuto significativo successo. Molti docenti e dirigenti hanno lavorato in questi anni a “costo zero” mettendo tutta la loro professionalità e passione al servizio del proprio istituto per senso del dovere e per motivazioni fornite localmente dai singoli conservatori, nell’indifferenza sostanziale del potere centrale (sempre a parte qualche interessamento personale): risulta forse mai messo in opera alcun monitoraggio ufficiale e trasparente da parte del MIUR per premiare i Conservatori più “efficienti”, per prenderli, ad esempio, come modello di sistema?

 Adesso, a causa del ritardo nel completamento della riforma e dei confusi annunci ministeriali sui tempi e modi della sua conclusione, della prolungata indifferenza nel riconoscimento dei meriti verso chi ha prodotto risultati istituzionali (qualcuno ha notizia sulle “conseguenze” delle relazioni dei nuclei di valutazione inviate al ministero?), anche chi fin dall’inizio è stato meglio disposto verso la riforma si sta inevitabilmente scoraggiando.
 

Chi ha bene operato non è stato "premiato": rischio di involuzione dell'intero sistema

Il rischio di un’involuzione dei conservatori, e di conseguenza dell’intero sistema, è quindi molto alto e serio e deve essere subito contrastato. Si sente oggi spesso ripetere che il problema dei conservatori italiani sia solo quello economico (adeguamento salariale insufficiente, ristrettezza di risorse statali alle istituzioni): una volta bene equipaggiati di euro conservatori e docenti sarebbero, secondo questo credo, subito in grado di volare alto senza problemi!

   Sicuramente quello della riforma a costo zero (causa prima di quanto avviene ora) è stata un’aberrazione, magari una scelta allora obbligata, certamente una vittoria di Pirro. Trovo però veramente ingenuo pensare che sia solo questo il problema. Si possono fare i conservatori riformati senza preoccuparsi di fare anche i docenti, il personale, gli organismi interni e nazionali dei conservatori riformati? Può una grave e diffusa assenza della cultura dell’autonomia nei conservatori, negli ambienti ministeriali, nei sindacati, cultura alla base della riforma del sistema, essere risolta semplicemente dando più soldi a enti e a persone che non hanno ancora capito di lavorare in un sistema profondamente cambiato in questi ultimi anni?

*********
 

Non è solo una questione di soldi, ma anche di cultura

Ma cosa è cambiato in questi ultimi dieci anni? Moltissime cose, e proprio l’incapacità di comprendere e di governare questa situazione sta creando situazioni spiacevoli e che potrebbero diventare presto esplosive.

 Accadono cose una volta inconcepibili: succede per esempio che alcuni istituti sfruttino l’autonomia didattica per applicare norme (per esempio nel riconoscimento dei titoli pregressi e di attività artistiche autonome, o attraverso convenzioni molto “audaci”) per rilasciare titoli di studio con modalità talmente diverse e stravaganti (tanto non esiste più un controllo ministeriale!) da configurare una vera e propria concorrenza sleale con altri conservatori, specie se vicini, e a mettere in dubbio i contenuti stessi dei titoli rilasciati (lo si vede bene questo nel trattare i trasferimenti di studenti accademici da conservatorio a conservatorio!).

 La complessità dell’organizzazione didattica attuale (coi molteplici livelli di studio, tra corsi tradizionali, corsi accademici, biennio di didattica ecc.) è talmente elevata, caotica, che a molti problemi nessuno, tanto meno il MIUR, può oggi dare risposte specifiche perché non esistono figure professionali atte a farlo. Il conservatorio odierno è infatti come un organismo che prende mille medicine al giorno: quale medico può calcolare gli effetti indesiderati delle possibili combinazioni e porvici rimedio?

 Succede che alcuni Conservatori hanno già da anni sperimentano trienni e bienni, corsi di base, elaborato tutti i nuovi regolamenti previsti dalla normativa, firmato mille “giuste” convenzioni, svolto significative esperienze nel campo dell’organizzazione e promozione della produzione musicale, altri invece sono ancora allo stato preriforma del conservatorio. Vale a dire da quattro a dieci anni di differenza temporale come stato dell’organizzazione istituzionale e aggiornamento del personale (se non altro culturale). Che si farà per l’avvio degli ordinamenti annunciato per l’a.a. 2010/11? Gli istituti più avanti, che hanno speso e investito su risorse umane, saranno chiamati a fermarsi per aspettare gli altri (vanificando il loro lavoro), oppure si dirà che chi rimane indietro sarà lasciato al proprio destino? Oppure si accetterà di avere un sistema nazionale pubblico a più velocità? In quale scenario saremo chiamati a lavorare?

*********
 

Cambiamento da comprendere e da governare:
caos nelle iniziative, e i dislivelli aumentano

C’è un filo conduttore in tutta questa situazione, un problema culturale di fondo che svela le ragioni di molte delle situazioni sopra descritte. È il problema della cultura dell’autonomia, assente, o poco presente nella testa di docenti, dirigenti, istituzioni, organismi locali e nazionali. Bisognerebbe quindi lavorare per migliorare la situazione, aiutare docenti e istituzioni a comprendere il valore dell’autonomia e le vere opportunità che essa concede. 

    La mancanza di una cultura dell’autonomia viene tradita da molteplici atteggiamenti: la si nota in chi crede che certe scelte quali l’organizzazione interna degli orari di lavoro, la designazione degli incarichi di docenza, la definizione dei regolamenti interni, la progettazione e realizzazione di curricoli di studio, la programmazione di eventi, abbiano sempre bisogno di qualcuno o qualcosa che dall’esterno del conservatorio debba dare un preventivo o successivo assenso. La si vede quando alcune istituzioni preferiscono, per raggiungere certi scopi, la scorciatoia di affidarsi a “protettori” o “protettorati” invece di concentrarsi e sforzarsi di elaborare strategie che possano per originalità e qualità essere autonomamente realizzabili dal conservatorio e magari autosostenersi. La si nota in quelle istituzioni che decidono di “fermare” i processi della riforma (studio dei curricoli accademici e di base, studio della relativa organizzazione interna) in attesa di maggiore chiarezza interpretativa da prodursi da parte del MIUR sulle norme emanate o da emanare, non capendo che è come aspettare Godot, e non calcolando le conseguenze anche drammatiche interne e nel sistema che questa mentalità produce.

*********
 

Comprendere e valorizzare l'autonomia

Se le istituzioni non hanno ancora compreso le enormi opportunità date dagli strumenti dell’autonomia oggi in possesso nei Conservatori (quanti per esempio hanno aperto la partita IVA?), strumenti ancora molto limitati rispetto a quelli dati alle università, neppure il MIUR che questa autonomia ha concesso (probabilmente, sospetto, con l’obiettivo di giustificare la progressiva diminuzione dei trasferimenti economici alle istituzioni) pare aver capito che tipo di processo ha messo in moto e quindi non è in grado di governarlo come invece si dovrebbe.
 

Il ruolo del centro: il sistema ha bisogno di regole "federali"

Un sistema basato sulle autonomie ha infatti bisogno di fondamentali regole “federali”. Per esempio:

-        Definire i livelli di competenza che gli studenti devono possedere per l’accesso ai trienni accademici (oggi succede di tutto, con grave rischio sulla credibilità e spendibilità nazionale dei titoli). Sarebbe più corretto partire dalle competenze in uscita (perché in entrata si possono attribuire debiti), ma senza un curricolo ufficiale precedente al conservatorio è difficile farlo. Si potrebbe risolvere la cosa abolendo il valore legale del titolo di studio e affidarsi solo all’autorevolezza delle istituzioni;

-        Definire i criteri guida fondamentali (quadro) affinché le istituzioni possano redigere gli autonomi regolamenti interni riguardanti i riconoscimenti dei crediti (perché qui si annida il vero rischio della concorrenza sleale, tarlo e pericolo insidioso per un sistema basato sulle autonomie); 

-        Definire in maniera trasparente quali debbano essere i requisiti in possesso ai conservatori per attivare certe iniziative riconoscibili dallo stato (con finanziamenti o altri benefit), siano esse di tipo formativo (come i master), oppure riguardanti la produzione o la ricerca;

-        Definire un regolamento quadro affinché ogni istituzione possa in autonomia attivare (se vuole) i corsi di formazione musicale di base, altrimenti questi titoli propedeutici daranno adito ad una grande confusione su tutto il territorio nazionale;

-        Creare un sistema di monitoraggio del funzionamento delle istituzioni, basato su informazioni e dati veramente sensibili che possano fornire anche l’immagine della qualità del lavoro svolto nei conservatori (certamente sono insufficienti i dati richiesti attualmente dal MIUR annualmente per fare le statistiche!).


*********
 

I temi da regolare

L’evoluzione del sistema AFAM negli anni successivi alla riforma lo ha reso progressivamente sempre più acefalo; di contro anziché assistere ad un potenziamento delle autonomie si è rafforzata negli organismi nazionali rappresentativi la tendenza all’autoreferenzialità e all’amore per la tattica (anziché per la strategia), al fine di difendere posizioni acquisite ritenute attaccabili da altri.

Ciò ha creato una disomogenea crescita dei conservatori su tutto il territorio nazionale, tanto che oggi diventa sempre più difficile trovare soluzioni che possano andare bene per tutti, e lo si capisce ogni volta che si dibatte sulle questioni di sistema (licei musicali, corsi di base, completamento della riforma, regolamenti, ecc.) perché ognuno pensa alla propria situazione territoriale che però raramente rappresenta un modello esportabile in tutta Italia.
 

Autonomia non è autoreferenzialità

La tendenza non sembra francamente arrestabile. L’unica via allora sembra essere quella di ripartire dal basso, dalle situazioni locali che hanno dimostrato nei fatti la via o le vie da seguire.

L’esempio del Veneto è emblematico: i sette conservatori collaborano da otto anni felicemente e con ottimi risultati nel progetto Orchestra Regionale dei Conservatori del Veneto. Da quattro anni hanno costituto formalmente un consorzio e avviato una serie di utilissime esperienze (scambi continui di informazioni, organizzazione e gestione comune di eventi, progettualità comune, ecc.) tanto che dal prossimo anno il consorzio passerà ad una nuova seconda fase (con nuovo statuto), evoluzione della prima, che consoliderà maggiormente le relazioni tra conservatori in termini operativi.

Altrettanto sono note in tutta Italia iniziative singole o in collaborazione tra istituzioni che possono diventare oggetto di studio e un modello per altri conservatori. Se la cultura dell’autonomia fosse consolidata nel nostro ambiente, queste positive esperienze circolerebbero molto più in fretta e aiuterebbero il sistema a crescere più velocemente e più uniformemente.

*********
 

Far circolare le esperienze positive

Concludo con una riflessione sui corsi di base e licei musicali. Anche qui il diffuso credo che ritiene essere i licei musicali quel segmento propedeutico che ci manca per garantire agli studenti l’accesso al triennio accademico in conservatorio (in sostituzione di quanto avveniva con i corsi tradizionali), tradisce una sostanziale assenza di pensiero dell’autonomia.
 

Corsi di base, e licei musicali

Si crede che attraverso l’istituzionalizzazione statale del liceo venga garantito d’emblée questo processo, ma si dimentica che il liceo per definizione non è (e quindi non potrà mai essere) una scuola professionalizzante (come era ed è il conservatorio), a meno che non si rifacciano esattamente i licei interni ai conservatorio (come quelli rimasti a Parma e a Milano), ipotesi però difficilmente esportabile in altri conservatori, la qual cosa riduce la questione a termini molto marginali, lasciando aperta tutta la problematica della preparazione di base.
 

Il liceo non è il Conservatorio

Molto ipocriticamente ci si dimentica inoltre di parlare e di studiare (con la possibilità di convenzionare) l’altra metà del mondo, cioè le scuole private (dagli istituti comunali, alle associazioni) dove per lo più insegnano diplomati dei nostri conservatori e dove già adesso si svolgono quei percorsi professionalizzanti che più ci interessano.
 

Mettersi in relazione con le scuole civiche e le associazioni

Ci si dimentica che la soluzione è già servita, attraverso i corsi propedeutici (cioè anche quelli di base) che la legge più recente concede ai conservatori di realizzare in autonomia (cfr. DPR 212/05, art. 10 comma 4, lettera g) anche a riforma completata. Perché quindi affidarsi totalmente a soluzioni normative nazionali ibride (i licei), o ad altre che la storia ha già dimostrato non essere sostenibili in tutta la nazione (licei interni), e dimenticarsi dell’unico curricolo professionalizzante che potrebbe tranquillamente anche integrarsi con quello delle scuole medie ad indirizzo e con quello dei nuovi licei musicali?

Il motivo della rinuncia non sarà forse perché i corsi di base presuppongono da parte delle istituzioni e del MIUR il saper gestire l’autonomia dei Conservatori?

Attuare i corsi di base nei Conservatori, in autonomia

Vicenza, 21 giugno 2009

contatti: team@aasp.it