CHE COSA FA IL NUCLEO DI VALUTAZIONE DI UN
CONSERVATORIO
A colloquio
con Valentina Pollio, presidente del NdV del Conservatorio di Genova
Valentina Pollio,
nata a Genova nel 1969, si
è laureata in Scienze dell’Educazione nel 2000. Dal 1989 lavora presso
l’Università degli Studi di Genova dove, oltre ad occuparsi dal 1998 di
valutazione, ricopre il ruolo di progettista e tutor del processo formativo per
corsi di formazione tenuti dall’ateneo genovese. E’ referente di diversi
progetti di carattere nazionale (AlmaLaurea, Good Practices) e partecipa a
progetti di cooperazione internazionale aventi come obiettivo lo sviluppo e
l’implementazione di sistemi per la quality assurance (Tempus projet:
“Network of centers for training of innovative projet management”; “Development
of the Model for Professional Recognition of Foreing Qualification in Russia”;
“Internal quality assurance system in Armenian HEIS”. Proyecto ALFA
“Aseguramiento de la Calidad; polìticas pùblicas y géstion universitaria”). Dal
2003 è cultore della materia di “Economia del lavoro” presso la Facoltà di
Scienze Politiche.
E’ autrice, in collaborazione, di Quality and evaluation in the Italian
University System (2009), e di Il concetto di competenza professionale
(2002).
Dall’a.a. 2005/06 è componente del Nucleo di valutazione del Conservatorio
Niccolò Paganini di Genova, di cui è stata nominata presidente dall’a.a.2008/09.
Sergio Lattes
– Dottoressa Pollio, vorrei cominciare questo colloquio dai punti che mi
sembrano più spinosi, quelli su cui può essere più urgente fare chiarezza. E’
difficile sottrarsi alla sensazione che, pur con differenze da istituto a
istituto, la nascita dei Nuclei di valutazione sia stata accolta dai docenti con
una certa diffidenza. Sul perché di questa diffidenza si possono fare varie
ipotesi, e ne faccio tre proponendole a lei come temi del nostro dialogo.
La
prima è che i meno giovani fra i docenti ricordano bene i tempi in cui la
valutazione dei docenti era affidata, ogni anno, all’insindacabile giudizio dei
direttori. Con un semplice aggettivo (ottimo, buono, distinto e via scendendo) e
senza alcuna motivazione i direttori esprimevano una valutazione che incideva
effettivamente nella carriera dei docenti. Questo meccanismo diventava per molti
direttori uno strumento di "governo" e, talvolta, di discriminazione dei non
graditi. Oggi si torna a parlare molto di valutazione del personale da parte dei
dirigenti. Si torna a quel modello?
La
seconda ragione di diffidenza è il timore che qualcuno possa venire a “ficcare
il naso” in quel rapporto così particolare, così stretto e così delicato qual’è
è la relazione didattica nel nostro particolare tipo di scuola. Si tratta di una
relazione uno-a-uno fra docente e discente (e quindi fra un adulto e un ragazzo)
che per molti aspetti assomiglia di più al rapporto fra un maestro d’arte e il
suo apprendista, che non a quello fra un professore universitario e i suoi
studenti.
E’ un rapporto delicato, in cui l’adulto può esercitare una fascinazione
profonda, una sorta di imprinting sul giovane. In cui possono nascere delle
sofferenze e perfino delle avversioni profonde. In cui l’appartenenza a una
“scuola” o a una tradizione didattica possono trasformarsi in una sorta di
“possesso” dell’allievo da parte del maestro. Spesso comunque – e i docenti più
avveduti avvertono il peso di questa responsabilità – il discente è portato a un
investimento di fiducia pressocchè illimitato nei confronti del docente.
Ebbene questo rapporto è vissuto come molto “privato”, e l’idea che qualcuno
possa venire, come dicevo, a “ficcarci il naso” probabilmente genera diffidenza.
Infine, ed è il terzo punto, probabilmente molti
professori temono che i questionari anonimi che misurano il “gradimento” da
parte degli studenti possano essere strumento di giudizi sommari e superficiali.
Suscita diffidenza e malcontento, in particolare, l’idea che il gradimento dello
studente possa essere l’unico parametro di una valutazione della didattica.
Valentina Pollio –
Rispondo alle sue domande
con una premessa di carattere generale.
Il Nucleo ha il
compito di diffondere la cultura della valutazione per far comprendere che la
valutazione non è solo
“valutazione finale”, giudizio sul risultato, ma anche valutazione del processo
che ha condotto al risultato. Le informazioni rese disponibili dalla valutazione
sono preziose per il processo decisionale: l’istituzione acquisisce
consapevolezza di sé, apprende quali dati le servono per monitorare il proprio
andamento. In altre parole, riceve un supporto per il proprio autogoverno.
A mio avviso è indispensabile che la gestione della
valutazione sia partecipata per facilitare la ricerca di soluzioni efficaci
nell’interesse di tutti gli attori in campo. Certo, non è possibile accontentare
tutti, ma vanno cercati dei compromessi sensati. Abbiamo dei vincoli di legge:
per esempio, delle opinioni degli studenti dobbiamo tener conto. E nelle
opinioni degli studenti dobbiamo saper distinguere gli elementi di critica per
così dire strutturali, rispetto ai quali è più difficile intervenire, dai
miglioramenti, magari piccoli, che invece possono essere utilmente realizzati.
Anche il dialogo con i professori è una componente essenziale: speriamo che le
ragioni della diffidenza possano ragionevolmente attenuarsi, e invece avviarsi
un processo di condivisione degli obiettivi della valutazione.
La
valutazione “storicamente” nasce con l’autonomia: ti do autonomia ma ti valuto.
Quindi in origine poteva essere intesa come strumento di controllo. Ma oggi
l’idea di valutazione è ben diversa. Si tratta di fare piccoli passi per
ottenere piccoli miglioramenti: con i mezzi che effettivamente si hanno a
disposizione, e non su desideri astratti. In definitiva si tratta di una
valutazione di efficacia e di efficienza, e non di mero giudizio sull’operato di
qualcuno.
SL
Però
le schede somministrate agli studenti chiedono anche questo. La sensazione è che
le norme tutelino con cura l’anonimato degli utenti che esprimono opinioni – per
esempio gli studenti: per esempio all’Università sono esclusi dalle rilevazioni
i corsi con 3 o meno studenti, perché non ne sarebbe garantito l’anonimato. Ma
che invece possa non essere altrettanto tutelato l’operatore: nel momento in cui
l’”utente” valuta, che so, la segreteria, oppure il corso di una determinata
disciplina, i “valutati” sono ben riconoscibili.
VP
Vorrei essere chiara. La
valutazione da parte dell’utente di un determinato servizio – compresa la
segreteria, compreso il singolo corso – è legittima e utile. Il punto è che
gli elementi che possono ricondurre ad un determinato operatore non sono
pubblicabili. Per esempio, all’Università le valutazioni degli studenti su
un singolo insegnamento sono disponibili solo ed esclusivamente per il
docente interessato, cui possono interessare in sede di autovalutazione, e per
il Preside della Facoltà. Fine. Oltre quel livello, quel dato è inaccessibile e
può solo rientrare in un’aggregazione di dati più ampia, che preservi
l’anonimato degli operatori.
Dei dati riguardanti un singolo docente, lo stesso Preside può fare solo un uso
aggregato. Ciò di cui il Nucleo dovrà dar conto al Ministero in sede di
valutazione – e sono parametri che nelle Università influenzano una percentuale
del fondo di finanziamento ordinario - saranno elementi del tipo: quante
opinioni degli studenti frequentanti sono state raccolte; quali sono le
percentuali d’impiego degli ex studenti a 1, 3, 5 anni dal conseguimento del
titolo; quanti insegnamenti sono stati monitorati; quali interventi migliorativi
sono stati attuati a seguito delle inefficienze riscontrate in precedenza.
Detto questo, è vero che i piccoli numeri del
Conservatorio, e il rapporto “stretto” fra docente e studente rendono poco
significative alcune risposte. Più in generale, non si possono applicare
meccanicamente a questo comparto gli schemi dell’Università. Prima di tutto per
i piccoli numeri (il che però non rende inutile ogni statistica).
Si tenga anche conto che la valutazione nei Conservatori è ancora in una fase
sperimentale. Nonostante siano passati sette anni dal DPR 132/03 che istituiva i
Nuclei di valutazione all’interno dei Conservatori, non tutte le istituzioni li
hanno ancora attivati ma, laddove esistono, l’attività inizia ad essere
consistente e ad avere una certa visibilità (una decina sono quelli con un sito
web). Proprio in questi giorni stiamo contattando i Conservatori per ottenere
informazioni relative alla costituzione, alla composizione e all’attività svolta
dai colleghi in quanto crediamo che, soprattutto in questa fase, lo scambio di
informazioni su metodologie di lavoro e obiettivi sia molto importante.
Attualmente siamo in una situazione un po’ di fai da te, dove
diventa essenziale la qualificazione professionale di coloro che, in quanto
esperti, sono chiamati a fare la valutazione. Il tutto, inoltre, in molti
casi, con il vincolo del costo zero: si può portare a termine solo ciò
che può essere fatto personalmente dai componenti del nucleo, senza alcun
supporto esterno che possa comportare costi e senza ulteriori aggravi sul lavoro
del personale tecnico amministrativo del Conservatorio.
Nel caso di Genova, il nucleo di valutazione esiste dal
2006 e l’individuazione dei due esperti esterni è proceduta da un rapporto fra
la direzione del Conservatorio e l’Università dove l’attività di valutazione è
ormai più che decennale.
SL
Che
cosa può essere oggetto di valutazione in un Conservatorio, oltre alla
didattica?
VP
Il Nucleo di valutazione di
un Conservatorio – parlo per Genova, anche se ci piacerebbe poterci confrontare
con altri – si pone degli obiettivi legati sia alle priorità che si è dato, sia
alla possibilità di accesso ai dati relativi. Quando ci sarà una banca dati di
tutta l’Afam, le possibilità saranno evidentemente più ampie. Uno di questi
obiettivi, per esempio, è un’indagine sugli esiti occupazionali dei diplomati.
Non è facile perché - oltre alla difficoltà ri rintracciare individui che
potrebbero anche aver trovato occupazione all’estero – è una delle cose che non
si possono fare a costo zero.
Su questo tema stanno già lavorando il Conservatorio di Parma e quello
dell’Aquila insieme con il Consorzio Almalaurea, che cura il monitoraggio degli
esiti occupazionali per l’Università. Con loro stiamo cercando di collaborare.
Altri elementi che possono essere oggetto di valutazione
sono la ricerca (sulla quale molti Conservatori si stanno muovendo), le attività
amministrative, l’allocazione delle risorse, cioè l’uso efficace ed efficiente
delle risorse a disposizione. Quindi il funzionamento stesso del Conservatorio.
Vorrei anche sottolineare l’importanza del momento dell’autovalutazione.
L’istituzione riflette sui propri punti di forza e di debolezza, e così facendo
può anche migliorare la propria posizione nella competizione nazionale fra le
istituzioni, che pure esiste. L’autovalutazione può supportare anche
l’individuazione e la valorizzazione dei punti di eccellenza, laddove ci sono.
SL
E
della didattica che cosa si può valutare?
VP
In primo luogo i numeri. Quanti sono gli iscritti, quanti i diplomati, quanti
quelli che riescono a compiere il loro percorso formativo nei tempi previsti,
quali sono le scelte che gli studenti fanno e se di quelle scelte sono
soddisfatti e se le rifarebbero. Il livello di soddisfazione riguarda sia gli
aspetti strutturali – aule attrezzature ecc. – sia quelli legati propriamente
alla docenza.
Tutti questi parametri, nel nostro comparto, non sono ancora usati per regolare
l’erogazione dei fondi. Ma potrebbero esserlo domani: molto meglio non arrivare
impreparati. Essenziale, come dicevo all’inizio, è che le procedure di
valutazione siano condivise da tutte le componenti dell’istituzione che vengono
coinvolte.
Ma vorrei citare ancora altri possibili ambiti di
valutazione della didattica: quali opportunità vengono offerte allo studente,
per esempio a livello di attività concertistica. Qual è la percentuale di
studenti che sceglie il nuovo ordinamento, in questa fase transitoria in cui
possono optare; e qual è l’andamento nel tempo di questa variabile. Qual è la
percentuale degli studenti stranieri, o semplicemente provenienti da altre
regioni, e quindi la capacità attrattiva di un’istituzione sul piano nazionale,
o oltre i confini nazionali.
SL
In
taluni casi, lo dirò senza troppa diplomazia, si ha la sensazione che i Nuclei
di valutazione di alcuni Conservatori facciano più che altro vetrina, cioè si
comportino un po’ come degli uffici di pubbliche relazioni al servizio
dell’istituto.
VP
Come abbiamo più volte
ricordato, i Nuclei di valutazione operano in autonomia, in assenza di linee
guida e criteri uniformi definiti a livello nazionale per l’intero settore
(l’unica raccomandazione è quella di muoversi in analogia con la valutazione
universitaria). Il fatto però di rendere pubbliche sui siti istituzionali le
relazioni annuali contenenti le informazioni raccolte e le valutazioni
effettuate rende possibili seppure con molte difficoltà i confronti (purtroppo,
talvolta non vengono esplicitate le metodologie utilizzate!).
Ma nel momento in cui sarà
operativa l’Agenzia nazionale di valutazione (Anvur) – e dovrebbe essere cosa
imminente - dovremmo poter disporre di
criteri nazionali di valutazione specifici per l’Afam. Questo renderà più
omogenea sul piano nazionale l’attività dei Nuclei di valutazione. Inoltre
renderà possibile una valutazione nazionale del sistema. Dicevo poc’anzi, e già
avviene nel sistema universitario, la valutazione nazionale probabilmente
condizionerà l’erogazione dei fondi ministeriali. Le risultanze di una
valutazione di sistema potrebbero anche in qualche modo essere di supporto al
Ministero nell’attuazione quella parte della legge 508 che riguarda i requisiti
minimi per le istituzioni e i loro eventuali accorpamenti.
SL
Per
ultimo vorrei proporle un’altra questione “spinosa”. Da quel che si sente dire,
la valutazione nelle Università viene incolpata di generare alcune distorsioni.
Per esempio: se si prende come parametro di giudizio il successo degli studenti
nel percorrere il curricolo degli studi, la percorrenza nei tempi previsti e il
minor tasso di abbandono, si creerebbe nell’istituzione una pressione sui
professori a promuovere gli studenti agli esami, e quindi – di conseguenza - un
abbassamento nel livello degli studi.
VP
Capisco che possa esistere
una tentazione del genere, ma il senso di responsabilità dovrebbe bastare a
superarla. Uno degli obiettivi del processo di valutazione è certamente
l’incremento della qualità degli studi, e questo contrasta con la tendenza che
lei teme. In più, uno dei parametri presi in considerazione è quello degli esiti
occupazionali: e anche questo tende a innalzare e non a deprimere la qualità
degli studi. I parametri della valutazione sono molteplici e complementari fra
loro: la percorrenza del curricolo nei tempi previsti, la soddisfazione degli
utenti, il monitoraggio degli esiti occupazionali formano un cerchio che a un
certo punto si chiude. In più, credo che nei Conservatori dove spesso - come lei
ricordava - il rapporto fra docente e studente è molto personale, la qualità del
rapporto didattico possa essere particolarmente elevata, e altrettanto il senso
di responsabilità del docente rispetto ad essa.
(febbraio 2010) |