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ASSOCIAZIONE PER L'ABOLIZIONE DEL SOLFEGGIO PARLATO
L'alta formazione musicale in Italia

INTERVENTI

 

"Tutti dovrebbero saper suonare. E la musica serve a formare cittadini migliori"

Un colloquio con Andrea Lucchesini
sull'educazione musicale in Italia, sui generi musicali, sulla Scuola di Fiesole, sul "sistema" Abreu


di Sergio Lattes

  

Andrea Lucchesini, pianista di fama, è direttore della Scuola di musica di Fiesole. Lo abbiamo incontrato dopo un suo recital per la Società del Quartetto a Milano.


Sei un artista in carriera, e sei direttore di una istituzione storica che oggi fa parte dell’Afam. Da questo doppio punto d’osservazione, vorrei chiederti come ti sembra lo stato dell’educazione musicale in Italia, e dico educazione nel senso più vasto, intendendo sia quella destinata alla scuola generale sia l’istruzione specialistica, che a quella in qualche modo deve pur raccordarsi.

Ci sono oggi in Italia molte realtà che fanno molto bene. Sono iniziative di singole persone, o di gruppi, che si pongono l’obiettivo di fare scuola con principi sani e  valori importanti, e fanno una buona educazione musicale. Possono essere scuole private o pubbliche - ci sono scuole medie che fanno un ottimo lavoro, e anche elementari. Ma sono iniziative isolate. Il contesto generale invece è organizzato malissimo. E la mia impressione è che scontiamo una o due generazioni di vuoto totale della musica in Italia. Mi trovo a vedere i miei coetanei, parlo di professionisti, avvocati, notai, commercialisti, che non hanno la musica come compagna di vita, non sanno che cosa sia, non l’hanno mai avvicinata, non sono stati educati a questo. Non era così per le generazioni precedenti.

In Italia non si è mai pensato ad una organizzazione dell’educazione musicale che partisse dalla scuola materna. E la cosa più assurda è stata la riforma dei Conservatori, che sono diventati Università della musica senza che si pensasse a costruire il percorso precedente. C’è sì, oggi, qualche liceo musicale, ma sono talmente pochi che non possono fare un lavoro capillare. Il progetto di Berlinguer poteva essere interessante, ma è naufragato senza aver avuto lo sviluppo che si sperava. Quindi non c’è al momento un’educazione musicale di base, e non parlo della formazione dei musicisti (fra l’altro i grandi talenti troveranno sempre modo di esprimersi), a me interessa una diffusione della conoscenza della musica, una cultura della musica che purtroppo da noi non c’è. Mentre in altri paesi c’è da sempre.

A proposito di diffusione della musica, come ti poni la questione dei generi?

Ho sempre pensato che se facciamo ascoltare ai bambini fin da piccoli tutti i tipi di musica offriamo  loro un ampio ventaglio di possibilità, poi ognuno di loro svilupperà il suo gusto. Probabilmente il 70% continuerà con la musica leggera perché è anche quella più vicina a loro, ma ci sarà anche un 30% che rimarrà legato alla musica classica o che le ascolterà entrambe. Io sono cresciuto in una famiglia dove la musica si viveva quotidianamente, sono figlio di un jazzista e fino a 13/14 anni ho ascoltato solo non-classica. Ascoltavo Frank Sinatra, Mina, e mi è rimasta la passione anche per questo tipo di musica.

Ho cercato di fare la stessa cosa con i miei figli, ho voluto che avessero una formazione musicale, loro ascoltavano ciò che suonavo e ascoltavo io, ma nello stesso tempo anche la musica pop. Adesso fortunatamente loro possono ascoltare tanto “Il Flauto Magico” quanto una canzone che ascoltano i loro coetanei. Di questo approccio sono convinto, purchè non si aspetti troppo. Se il messaggio arriva a 13/14 anni è troppo tardi, sono già formati, hanno già l’orecchio che va in una sola direzione. Se invece cerchiamo di educarli prima, facciamo sentire che esiste anche altra musica, forse saranno più liberi di scegliere. Poi io non sono fissato con la musica classica per forza, sono del parere che tutta la musica, se è fatta bene, va bene.

Dove è il punto di articolazione fra l’esigenza  di diffusione  della cultura musicale e l’esigenza di selezione della  qualità che caratterizza il momento più professionale? Dove, come potrebbe avvenire questo raccordo?

In un sistema ideale si dovrebbe arrivare tutti, nella scuola, a un livello equivalente a un 8° anno di strumento.

Nella scuola generale?

Secondo me sì, anche se ne siamo molto lontani. Ne siamo lontani perché la vera pratica strumentale esiste purtroppo solo in rarissimi casi. Penso a quante generazioni di bambini sono state rovinate dal flauto dolce. Il flauto dolce è l’antimusica nella scuola media. Sarà perché a quell’età già suonavo il pianoforte, ma mi è sempre sembrato una cosa orribile, quel suono brutto, stonato, e tutti insieme a fare tre note. Vuoi mettere la soddisfazione che può dare uno strumento come la chitarra, o il pianoforte, anche facendo solo cose elementari....

Sarei d’accordo, ma mi domando: in un Paese come questo, con i problemi che ci sono nella scuola, è un obiettivo verosimile quello di un’alfabetizzazione musicale di massa, che corrisponda addirittura a un corso medio di Conservatorio?

Mi hai chiesto qual è l’ideale e io ti ho detto qual è il mio ideale, ma anche se si arrivasse ad un livello di compimento inferiore, sarebbe  già una bella cosa.

Insomma tu pensi che nella scuola ordinaria tutti dovrebbero e potrebbero suonare sul serio.

Secondo me sì. Naturalmente per fare una cosa del genere c’è bisogno un investimento notevole.

E anche di una scelta di priorità, perché altri penseranno che vi sono altre urgenze.

Se si prendesse atto che la musica serve a formare cittadini migliori, cosa a cui credo profondamente, forse uno sforzo si potrebbe fare. Aggiungo: uno dei problemi  per tutti che coloro che stanno studiando in Conservatorio è che non ci sono sbocchi professionali, in questo momento è veramente difficile per uno che esce dal Conservatorio trovare lavoro. I teatri sono in crisi, è più facile che le orchestre chiudano piuttosto che aprano, sinceramente la vedo molto difficile. Ebbene, lo sviluppo di una vera educazione musicale nella scuola potrebbe essere un modo di dar loro lavoro.

Torniamo per un momento alla riforma dei Conservatori. Condivido il giudizio che si è partiti dal tetto, ma penso anche che la riforma sia scaturita da un vincolo europeo, e probabilmente senza questo vincolo non si sarebbe fatto niente. In ogni caso, quale che sia il giudizio che se ne dà, questa riforma ci ha consegnato un sistema che si articola in 75/80 sedi di cosiddetta Alta Formazione: quale può essere un modo sano di gestire questo sistema, del quale ora fate parte anche voi. Le istituzioni sono tante, sono poche? E  per far che?

Innanzitutto mi sembra che molti Conservatori continuino ad aprire l’ingresso ai corsi preaccademici, che restano l’unico modo per far studiare seriamente i ragazzi. A Firenze abbiamo un liceo musicale dove i ragazzi  spesso arrivano in prima liceo senza aver mai toccato uno strumento. E’ impensabile che dopo 5 anni di liceo possano avere la preparazione strumentale adatta ad un ingresso al Triennio.

Mi sembra quindi logico che i Conservatori continuino ad avere il pre-accademico. Altro è il discorso della parte alta degli studi. Secondo me ci dovrebbero essere due, tre accademie superiori dove potrebbero accedere solo coloro che prevedono di fare della musica la loro professione.

E gli altri istituti?

Gli altri dovrebbero fare una diffusione musicale di massa, come del resto avviene nell’Università: non tutti poi fanno la professione, molti prendono una laurea e poi fanno altre cose. Non è pensabile che tutti coloro che prendono un  “laurea in musica” possano avere uno sbocco professionale, sia concertistico, sia in orchestra.

L’altra cosa interessante sarebbe tentare una sorta di specializzazione, far sì che ogni Conservatorio sia riconoscibile per  una vocazione oppure, come succede in Veneto, fare un Consorzio e programmare le specializzazioni su questa scala.

Voglio anche dirti che sono convinto che il vecchio ordinamento andasse bene, era solo da migliorare, cambiando alcune cose. Per il resto come formazione musicale era perfetto. Se uno voleva avere una formazione culturalmente più avanzata aveva modo di farlo comunque. Diciamo che la nuova impostazione toglie molte ore di studio allo strumento e distrae moltissimo; io vedo che i nostri ragazzi sono sempre a rincorrere le altre materie e hanno sempre meno possibilità e tempo di studiare.

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Cambiando argomento, mi dici in poche parole che cos’è la Scuola di Fiesole?

La Scuola di Fiesole continua ad essere un punto di riferimento, qualcosa che ancora non è stato eguagliato per la filosofia che sta dietro l’insegnamento della musica. A scuola spesso si arriva a 5/6 anni, noi abbiamo anche un corso sperimentale (metodo Gordon) per  bambini in fasce da 0 a 3 anni. La maggior parte però arriva a 5/6 anni, frequenta un corso propedeutico, coro e poi entra nelle varie classi. La cosa più notevole è che dopo cinque, sei mesi che studiano lo strumento vengono inseriti in orchestra. Questo crea nel bambino un’attitudine al gioco di squadra, al rapporto con gli altri. Dicevo prima della musica come mezzo per creare cittadini migliori, per abituare i bambini ad avere rispetto di quello che è seduto accanto e suona con loro. Secondo me è qualcosa che alla lunga aiuta molto.

Da quel punto in avanti la musica d’insieme e da camera è al centro dell’educazione musicale, è molto più importante del lavoro individuale, e questo concetto li accompagna per tutto il percorso.

L’altra cosa che rende la scuola veramente un po’ unica, anche grazie alla libertà di movimento di cui gode, è che mette in comunicazione questa fascia dei bambini piccoli con i corsi di perfezionamento, con l’Orchestra Giovanile, con i corsi amatoriali, con il coro di adulti. Ci sono sempre momenti di condivisione, momenti in cui  queste varie realtà della scuola si mettono in comunicazione. E questo  arricchisce senza dubbio tutti.

Però poi nella fascia dell’alta formazione non avete soltanto allievi che provengono dal vostro vivaio.

No, nei corsi di perfezionamento arrivano ragazzi da tutta Europa, qualche volta anche dagli Stati Uniti e dal Giappone. La Scuola è anche un riferimento per coloro che suonano sin da piccoli in orchestra, vengono selezionati in tutta Italia e l’Orchestra Nazionale Giovanile è un punto di riferimento importante.

Come si collocano i corsi di perfezionamento rispetto ai corsi accreditati?

Sono “sopra”, ma ci saranno in futuro dei punti di contatto. Il nostro accreditamento è solo per il Triennio. Abbiamo una convenzione con 2/3 Conservatori con la quale gli iscritti ai nostri corsi di perfezionamento possono fare il Biennio in Conservatorio.

In che cosa, ora, vi sentite più di prima simili a un Conservatorio, e in che cosa vi sentite diversi?

Siamo dissimili perché possiamo scegliere i docenti. Però a me piacerebbe che anche i Conservatori avessero la possibilità di farlo. L’obiettivo è quello di migliorare l’offerta formativa, e per migliorare ci deve essere maggiore libertà.

Premesso questo, a me fa piacere che Fiesole sia entrata a far parte del sistema pubblico musicale italiano. Stare sulla collina a guardare gli altri non mi è mai piaciuto, preferisco senz’altro essere dentro il sistema e magari cercare di cambiarlo, di dare un apporto perché possa migliorare. Ho chiesto di far parte della Conferenza dei Direttori e sembra ci siano buone probabilità.

Non gioverebbe continuare in una contrapposizione tra Scuola di Fiesole e  i Conservatori. Può aver avuto senso in passato, quando Piero Farulli ha deciso di fondare la Scuola, 40 anni fa, in quanto non era d’accordo sulla impostazione della formazione musicale dei Conservatori. E’ anche vero che i Conservatori  hanno poi guardato alla Scuola di Fiesole nel corso degli anni.

Ora è diverso. Dopo l’ultimo concorso a cattedre del 1990, io ho notato che il livello di alcuni Conservatori è molto alto e la preparazione dei docenti molto buona. E c’è tanta voglia di aggiornarsi, di rinnovarsi.

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Un ultimo argomento. Che cosa pensi del “trapianto italiano” del sistema Abreu?

Fin dal primo momento, quando Abbado ha presentato il progetto, ho pensato che l’idea fosse bellissima. C’era però da considerare la profonda differenza del tessuto sociale venezuelano rispetto al nostro, non potevi prendere quel modello e portarlo in Italia. Con mia grande sorpresa, abbiamo fatto un’analisi della situazione e abbiamo visto che le realtà già attive su quel tipo di lavoro erano tante. Infatti si è costituita una rete di una cinquantina di orchestre, e sono in costante aumento. Anche in Toscana abbiamo avuto alcune richieste per aprire nuovi nuclei e ti ricordo che prima parlavo di iniziative singole che vanno a coprire un vuoto nell’educazione pubblica: sono iniziative lodevolissime. Sono diverse una dall’altra. Una delle caratteristiche richieste era la gratuità, ma non sempre è possibile e a volte sono presenti delle rette, anche se molto basse.

Mi sembra anche di capire che dentro questa rete ci sono realtà che fanno parte di tessuti sociali più avanzati, non disagiati, nelle quali prevale il momento della formazione musicale, come laboratorio e anche come scelta pre-professionale. E ci sono, anche nel nostro paese, realtà socialmente molto più disagiate nelle quali evidentemente la valenza sociale del progetto pesa di più di quella formativa/professionale.

Per quel che ci riguarda, noi  abbiamo aperto  due anni fa un nucleo nel quartiere Le Piagge a Firenze con due criteri: la gratuità e la lezione collettiva da subito, perché l’obiettivo non era quello di creare musicisti, ma di mettere insieme bambini provenienti da paesi diversi e aiutarli ad integrarsi attraverso la musica. Siamo riusciti a coinvolgere anche la comunità cinese, solitamente molto chiusa. Qui l’aspetto strettamente musicale è naturalmente secondario.

Dove e come  avviene l’innesto, l’articolazione tra il momento sociale, di integrazione e di recupero, e il momento più strettamente  formativo e in qualche modo professionalizzante che in qualche modo sviluppa logiche selettive?

Lì non c’è questo aspetto. Poi naturalmente anche in un’educazione che non punta alla professione il talento lo vedi: ad esempio in questo nucleo vi sono una cinquantina di bambini, ma abbiamo già visto che ce n’è uno che ha un talento molto particolare. Noi dovremo prenderlo e curarlo in maniera diversa. Ma in generale  nei vari nuclei in tutta Italia non c’è  questo approccio verso la prospettiva professionale, ci si accontenta di far sì che possano crescere.

Però in alcune orchestre giovanili che fanno parte di questa rete c’è questo approccio prossimo alla professione.

Qui a Milano hanno creato una rete importante, è un po’ diverso. Ci sono ragazzi di varie età, ragazzi che studiano anche in altre scuole musicali.

 aprile 2014

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