HOME PAGE
 
 CHI E PERCHE'
 
 INTERVENTI
 
 DOCUMENTI
         - noi e l'Europa
         - dall'Italia
         - dalla stampa
         - oltre la musica
            (documenti e articoli
             d'interesse generale)
         - appuntamenti
 
 DIDATTICA
 
 RISORSE
 
 ARCHIVIO
 
 MAPPA
 
ASSOCIAZIONE PER L'ABOLIZIONE DEL SOLFEGGIO PARLATO

INTERVENTI

sei in: INTERVENTI>PERCHE' IL FLOP DEL LICEO MUSICALE E' UNA SCONFITTA PER I CONSERVATORI

Perché il flop del liceo musicale è una sconfitta per i Conservatori

di Sergio Lattes

 

Diciamo la verità: per un momento, per qualche mese, ci avevamo creduto in molti. Che il Ministro, questo Ministro, semplicemente raccogliendo e attuando l’eredità dei suoi predecessori - e quella di quaranta o cinquant’anni di elaborazione e di sollecitazione da parte del mondo culturale - portasse veramente questo Paese ad avere, nella scuola secondaria, la musica fra le materie della formazione di ogni cittadino, e ad avere fra i licei un liceo musicale.

Un liceo musicale che continuasse la formazione della scuola media ad indirizzo, e conducesse una parte dei suoi studenti – i più dotati, i più orientati, i più avanzati nello studio della musica – a compiere dopo la maturità la scelta di entrare in Conservatorio. E gli altri ad essere dei bravi studenti di Lettere, o di Ingegneria, o di Architettura che avendo avuto una buona formazione musicale diventassero poi degli intellettuali, degli insegnanti, degli ingegneri, degli architetti capaci di suonare abbastanza bene il violino o il pianoforte e di far parte di un vero pubblico della musica.

Era questo il sogno coltivato in decenni di convegni, di pubblicazioni, di progetti di legge. Il sogno di far diventare questo paese un paese musicalmente normale, simile ai paesi europei di più solida tradizione musicale. Era questa, anche, la prospettiva indicata dalla legge 508, laddove prevedeva la continuazione della formazione pre-triennio nei Conservatori come una fase transitoria, “obbligata”, nell’attesa del riordino generale della scuola.

________________

Così non è andata. Dopo molti annunci e molte speranze suscitate, il riordino è arrivato: la musica come materia essenziale nella scuola di tutti è stata abbandonata. E il liceo musicale è nato in una dimensione – mentre scrivo si parla di 28 in tutta Italia – che si può ben definire sperimentale, e che non raggiunge nemmeno la dimensione attuale del sistema AFAM (oltre 70). Cui pure nasce legata da un cordone ombelicale: il regolamento che istituisce il liceo musicale dice che “in prima applicazione” esso nasce esclusivamente in convenzione con i Conservatori. Evidentemente, solo alcuni Conservatori.

E questo nonostante l’incredibile pressione della società sul sistema scolastico: molti direttori di Conservatorio all’annuncio del liceo musicale hanno ricevuto diecine di telefonate di dirigenti scolastici che volevano attuare la sezione musicale e chiedevano di potersi convenzionare. Nonostante la crisi economica e la disoccupazione galoppante, la fame arretrata di musica e di educazione musicale si è fatta sentire anche in una temperie che sembrerebbe dover spingere verso cose più “concrete”. Ricordo in proposito le cose dette, su questo sito, da Ciro Fiorentino (vedi in Interventi). 

 ________________ 

La circostanza induce a qualche riflessione.

Intanto, sulla 508. Si è detto infinite volte che il difetto della 508 era di cominciare dal tetto. Vero. Ma vero è anche che la 508 nasceva non dalla spinta del mondo dei Conservatori (nel quale il sogno di cui parlavo prima è stato sempre il sogno di una minoranza) ma da un vincolo internazionale: il cosiddetto processo di Bologna, cioè un impegno contratto dal Paese a riformulare il livello terziario dell’istruzione entro il 2010.

La legge indicava per sommi capi, come ricordavo prima, una prospettiva di sistema che essa non poteva attuare ma solo, appunto, indicare. E oggi, vedendo il misero parto del liceo musicale, si può ben dire che, se il vincolo internazionale non ci avesse costretti a cominciare dal tetto, non si sarebbe fatto nemmeno quello.

Poi, qualche riflessione sull’atteggiamento di gran parte del mondo dei Conservatori. Paradossalmente proprio qui si sono sentite le più forti resistenze all’istituzione “di sistema” di un liceo musicale. E forte è la sensazione che le resistenze provenienti dai Conservatori abbiano avuto peso determinante nelle decisioni ministeriali sul liceo musicale.

Conseguentemente, ora prende piede nei Conservatori l’idea che la 508 debba essere modificata, abolendo il carattere temporaneo della formazione “di base” e restituendo definitivamente ai Conservatori la pienezza del percorso formativo, dall’inizio degli studi musicali fino al loro compimento. Questa tendenza si può anche considerare realistica, alla luce del “flop” del liceo musicale, ma è bene essere consapevoli che essa contiene le ragioni di una sconfitta anche per i Conservatori.

________________

E’ evidente che, dopo lo strazio di 11 anni di transizione verso la riforma - ancora da compiere! – si tende a tornare a ciò che si conosce. Un modello nel quale siamo nati, che sappiamo gestire. Un modello in cui la musica si studia al Conservatorio, e basta. In cui pochi allievi vengono selezionati fin da piccoli, vengono allevati come si deve – come sappiamo fare! – e quelli che arrivano al compimento degli studi diventano i nostri successori nelle professioni musicali. Salvo poi a lamentarci perché il Paese, che abbiamo accuratamente tenuto fuori dal nostro orto musicale, non vuole sentir parlare di musica e non vuole spenderci soldi; perchè il pubblico diminuisce; perchè i diplomati non hanno speranza di trovare lavoro.
E questa è la prima ragione di sconfitta.

La seconda sta nella perpetuazione di un modello pedagogico che non è più sostenibile. In breve:

a) insegnare ai bambini è una professione. Ogni docente di Conservatorio è a contatto con bambini e adolescenti senza avere ricevuto alcuna formazione che lo metta in condizione di gestire questa relazione. Di fatto (anche se non lo si vuole ammettere) ci sono dei colleghi che, per inclinazione o per formazione personale, hanno miglior successo con i giovanissimi, e ogni istituto tende a mandare in quelle classi i "piccoli". Questo può diminuire i rischi, ma chiunque guardi onestamente alla propria esperienza e conoscenza sa quali disastri si possono combinare. A parte i casi di vera e propria sofferenza, fra coloro che il Conservatorio “espelle” durante il percorso – e i numeri dicono che sono la maggioranza – sono certo più numerosi coloro che escono con un sentimento di frustrazione e di sconfitta che non quelli che escono portando con sé l’amore per la musica.

b) la compresenza di bambini, adolescenti e adulti nella stessa classe in alcuni casi può essere molto stimolante, in linea di principio è anomala. In genere i bambini vanno a scuola con altri bambini, gli adolescenti con adolescenti, gli adulti con adulti. E i bambini fanno studi pensati per essere fatti da bambini, gli adolescenti altrettanto, gli adulti pure.

c) la selezione all’ingresso è inefficiente. Perché è fatta su una base casuale: ogni Conservatorio insiste su un bacino di popolazione di centinaia di migliaia di abitanti (talvolta un milione), e coloro che si presentano alle ammissioni, strumento per strumento, sono poche unità o diecine: la selezione l’hanno già fatta la distanza, il censo, la cultura e gli orientamenti della famiglia. Poi, perché è fatta senza strumenti: misurare le attitudini musicali è a sua volta una professione, con la quale le provette empiriche che si fanno in genere agli esami d’ammissione in Conservatorio hanno poco a che fare. Giova ricordare che in Italia si parla di educazione percettiva solo da qualche anno. Del resto, l’esame di “conferma” che alcuni Conservatori ancora fanno dopo il primo anno ha proprio il senso della cautela rispetto all’inefficienza della selezione: ti abbiamo ammesso, ma ci siamo sbagliati.

La terza ragione di sconfitta consegue appunto dall’inefficienza della selezione. Se i Conservatori fossero collocati in un sistema di istruzione musicale diffusa, la selezione avverrebbe dopo la maturità e sarebbe il frutto di molteplici selezioni anteriori – l’accesso alla media a indirizzo, l’accesso al liceo a indirizzo, l’auto-orientamento operato dallo studente durante la formazione liceale – effettuate su numeri molto ampi. Il sistema avrebbe la forma di una piramide, con una base ampia e un vertice relativamente ristretto. La selezione finale (l’accesso all'alta formazione) avrebbe come base, dunque, l’intera popolazione del territorio di riferimento del Conservatorio. E' evidente che, una volta messo a regime il sistema, la selezione degli studenti per il Conservatorio sarebbe infinitamente più efficiente e garantirebbe in ultima analisi un livello d'accesso più elevato.

Tutto questo non avverrà.

La quarta ragione di sconfitta sta nel fatto che un sistema “cilindrico”, anziché piramidale, produce inevitabilmente disoccupazione. Si è ottenuto – con un lungo braccio di ferro con l’Università, leggi in proposito Roberto Neulichedl in Interventi – che la formazione dei docenti di musica avvenga nell’Afam e non nell’Università. Ebbene, non ci sarà bisogno dei nostri diplomati per insegnare nella secondaria superiore, perché non ci sarà bisogno di insegnanti di musica nella secondaria superiore.

________________

Non tutti i docenti di Conservatorio, però, condividono la visione che ha trovato ampia voce nella vicenda del liceo musicale, né condividono l’attaccamento tout court al modello di Conservatorio del vecchio ordinamento. Anche fra gli strumentisti, che sono ovviamente i più attenti alla preservazione di certe caratteristiche della didattica. Vorrei concludere queste righe citando alcuni punti delle risposte al questionario sulla riforma che l’Associazione per l’abolizione del solfeggio parlato ha rivolto a un campione di strumentisti docenti nei Conservatori (i testi integrali sono in questo sito, nella sezione “Didattica>I quaderni della riforma>Strumentisti”). Si tratta ovviamente di un campione che non ha alcun valore statistico, ma che ha a mio avviso un valore qualitativo.

Questa mi sembra una conquista importante: svincolare il percorso legato allo strumento “suonato” su più docenti consente di stemperare quella smania di “possesso” che molti colleghi riversano sui propri studenti, limitandone l’effettiva capacità di ampliare i propri orizzonti.
[...] Temo comunque che la diffidenza di molti docenti nasca dalla perdita di centralità dell’insegnante di strumento, piuttosto che dello studio strumentale in sé.
[...] Giudico questa innovazione
[il ruolo della musica da camera nel triennio] in modo assolutamente positivo. Riflettiamo sul fatto che questa importantissima ed estremamente formativa materia è nel vecchio ordinamento tutt’ora regolamentata dal Regio Decreto del 1918 che lascia al direttore, sentito il collegio dei docenti, la possibilità di stabilire i criteri di frequenza, generando così quella giungla che è l’attuale corso di musica da camera del corso ordinamentale.
Non vedo come [fra Strumento e Musica da camera] possano crearsi delle contese tra colleghi, si tratta di due materie diverse. E poi quale sarebbe il “territorio” conteso… gli allievi? (Laura Manzini, Latina).


Non condivido questa preoccupazione
[quella della perdità di centralità dello strumento] perché ritengo che la centralità debba essere riferita alla musica e non allo strumento (Gianni Bacchilega, Milano).


La vecchia idea dell’allievo come esclusivo prodotto di un unico maestro mi sembra tramontata da tempo, soprattutto per quanto riguarda la fascia di età dei trienni. Il vero punto è che per corsi più specifici andrebbero selezionati docenti con competenze specifiche [...]
Non ho mai creduto nel passaggio automatico di tutti i Conservatori e tutto il corpo docente al cosiddetto ‘livello universitario’. Mi è sempre sembrata una pretesa velleitaria e poco realistica.
Sarebbe stato più serio dire trasformare alcuni Conservatori di eccellenza in Unìversità (con il coraggio di assumere i docenti per concorso) e lasciare che gli altri gestissero la formazione a livello di medie e licei. Personalmente non mi sentirei ‘svilito’ insegnando ad un livello inferiore, purché vengano rispettati la qualità del lavoro e la classe di stipendio
(Riccardo Zadra, Vicenza).


Penso che convenzioni, collaborazioni e simili siano quanto mai opportune per ottimizzare le risorse umane e professionali. Mi piacerebbe pensare che i Licei musicali potessero costituire uno sbocco lavorativo per i nostri studenti, ma temo sia un’ipotesi ancora lontana, visto l’esiguo numero di sezioni che presumibilmente si apriranno nell’immediato futuro
(Marco Vincenzi, Genova)


Ritengo fondamentale l’istituzione di convenzioni fra Conservatori e Licei musicali; penso anche che il Conservatorio dovrebbe rendersi disponibile per una sorta di “supervisione” nelle scelte scolastiche, dei programmi, ecc., ed offrire supporto quando questo venga richiesto
(Stefania Redaelli, Vicenza).


Trovo che anche a livello pre-universitario, sia singolare che uno strumentista sia costretto, per avere un minimo di preparazione culturale generale, alla frequenza contemporanea di due scuole (Conservatorio e Liceo, per esempio).
[...] Desidero segnalare l'esperienza molto positiva che ho personalmente tratto dall'insegnare ai corsi di formazione per docenti delle scuole medie ad indirizzo musicale (A77). Ho trovato studenti molto motivati, spesso buoni strumentisti, con grande disponibilità e vicinanza verso la realtà dell'istruzione musicale di base. Saranno questi futuri docenti a creare le basi dei professionisti e del pubblico di domani (Giovanni Battista Rigon, Padova).


Probabilmente il vero problema è la qualifica del personale docente di livello universitario, questione che nessuno osa porre, un tabù che nemmeno la riforma  è riuscita a superare. Tengo a dire che la solita obiezione del “chi giudica chi” è, a mio parere, soltanto un modo per evitare di prendersi la responsabilità di creare una scuola di qualità e di alto livello, obiettivo che sembra spesso dimenticato. Se vi fossero regolarmente dei concorsi e un monitoraggio serio del lavoro svolto, molti musicisti di valore oggi disoccupati avrebbero la possibilità di intraprendere la carriera di insegnante.
Il rischio è che le riflessioni sulla riforma dei Conservatori vengano orientate, di fatto, su come conservare i privilegi dell’attuale corpo docente, su come nascondere o proteggere tante magagne, piuttosto che a chiedersi come alzare il livello dell’offerta formativa e diventare competitivi a livello europeo. Manca sovente una visione di come vorremmo fosse la scuola migliore per i giovani oggi
(Federica Righini, Vicenza).


Mi sembra comunque una posizione “intelligente” da parte dell'insegnante lasciare che lo studente, appena raggiunto un minimo di maturità e di consapevolezza, ascolti più voci.  Con il passare del tempo è sacrosanto che si renda conto che esistono altre idee, altri punti di vista, che possono essere a loro volta complementari al lavoro svolto, e che sia messo in condizione di confrontare fra loro tali idee: è senza dubbio un'occasione stimolante in più. D'altronde alcuni argomenti risultano talmente “specifici” che diviene naturalmente necessario affidarli a docenti diversi. Dal momento che parliamo di trienni e bienni, si presume che stiamo parlando comunque di studenti già grandi. Ritengo invece giusto che lo studente, durante l'intero percorso, abbia pur sempre un insegnante di “riferimento”, un tutor che lo possa consigliare sulle scelte e sul da farsi: tale insegnante può non essere necessariamente la stessa persona per tutto quanto il periodo.
[...] Se avessimo numerosi Licei già funzionanti in tutta Italia, potremmo indubbiamente avere maggiori benefici. Purtroppo questa è la situazione attuale, non credo molto modificabile. Il rischio della “secondarizzazione” esiste: il fatto di aver creato in anni passati troppi conservatori sul territorio (ma soprattutto mal distribuiti, perchè lo studio della musica non è mai troppo) credo porterà la necessità quanto meno di un ridimensionamento. Il pericolo quindi esiste. Dall'altro lato penso anche che l'apertura (speriamo non troppo in là nei decenni) dei nuovi Licei musicali potrebbe finalmente significare nuova fonte di lavoro per i nostri studenti, in un momento di crisi nel quale i teatri e le orchestre sono sull'orlo del fallimento (Massimiliano Damerini, Genova). 

(marzo 2010)

contatti: team@aasp.it