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L'importante è sapere dove si va

A colloquio con Roberto Iovino, direttore a Genova


di Sergio Lattes

 

Roberto Iovino (Genova, 1953), diplomato in musica corale e direzione di coro, laureato in matematica, è dal novembre scorso direttore del Conservatorio “N.Paganini”, presso il quale è di ruolo di storia della musica dal 1982. Critico musicale e saggista, ha pubblicato numerose biografie e testi di carattere musicologico. E’ stato per decenni nel comitato organizzatore del “Premio Paganini” che ha anche diretto per quattro edizioni (2001, 2002, 2008, 2010) in qualità di direttore ad interim.

 

Ti sei insediato come direttore il 3 novembre scorso. Comincerei col chiederti come è cambiato il tuo punto di osservazione.

Per quel che riguarda Genova, è il Conservatorio dove ho fatto lo studente, e poi il docente per 35 anni, prima di farne il direttore. Diciamo che lo conoscevo bene. Conoscevo meno i meccanismi nazionali, e finora le riunioni della Conferenza dei direttori cui ho partecipato sono state molto istruttive. Ho imparato parecchio dai colleghi più “anziani” ed esperti, e ho imparato anche cose da non fare. Dico questo perché è un momento in cui, per un insieme di ragioni, il Ministero è un po’ fermo e le istituzioni si muovono talvolta in ordine sparso. Questo è comprensibile, ma col tempo può generare problemi di disomogeneità nel sistema.

Tornando a Genova, i problemi sul tavolo sono in sostanza due. Il primo è quello logistico, abbiamo una sede molto bella ma che non è più sufficiente a contenere l’offerta formativa di un Conservatorio di oggi: andava bene quando c’erano 120 studenti e il vecchio ordinamento. Oggi gli studenti sono 560 e gli ordinamenti 4 (trienni ordinamentali, bienni sperimentali, pre-accademici, vecchio ordinamento in corso di esaurimento) e non ci stiamo più.  Non voglio comprimere o soffocare l’attività, e quindi stiamo cercando spazi. Il Comune è interlocutore disponibile e valido, e questo perché (grazie al lavoro dei miei predecessori) il Conservatorio nel tessuto cittadino si è inserito bene e abbiamo rapporti concreti con molte istituzioni cittadine.

L’altro problema interno è l’assenza di Presidente e CdA, dal 12 dicembre scorso. E’ finita ogni possibile prorogatio. Con molto anticipo avevamo indicato al Ministero la terna, ma poi è uscita la nuova norma che impedisce di nominare un pensionato, e i nostri lo erano. Ci è stata promessa una deroga eccezionale almeno per un anno, purchè senza compenso. Ma non è ancora stata attuata, e qui ci siamo io il direttore amministrativo. Non si può assumere alcuna iniziativa che comporti l’avallo del CdA, e francamente è una situazione insostenibile.

Il terzo problema è invece generale – e non parlo di quello dei tagli, che ci impone continuamente nuove rinunce. E’ invece quello già accennato dello stare sempre in mezzo al guado fra i vari ordinamenti. Su questo piano cerchiamo, nei limiti di quel che ci viene autorizzato, di alleggerire, ordinare, correggere sulla base dell’esperienza di questi anni di riforma. E di proporre alcune innovazioni su cui speriamo di trovare ascolto e collaborazione nel Ministero.

Come funziona il vostro rapporto con il Ministero dopo la soppressione della Direzione generale dell’Afam: poco fa parlavi di un Ministero un po’ fermo…

E’ molto difficile. Interloquiamo con 2 dirigenti (Alì e Livon) che hanno competenze diverse. Ci viene detto da tempo che è in corso una riorganizzazione interna, ci si chiede di pazientare, si spera sia tutto operativo alla fine di febbraio. Che è vicina: speriamo sia vero.

Aggiungo che è ormai molto tempo che manca il Cnam, cui la legge attribuisce funzioni concrete per il nostro funzionamento. Si sente parlare di due scuole di pensiero all’interno del Ministero, una favorevole al rinnovo e una per la soppressione del Cnam, il che richiederebbe comunque una nuova norma di legge. Intanto c’è tutta una serie di cose che un Conservatorio non può ottenere perché manca il parere (obbligatorio) del Cnam. Ti faccio presente che già due anni fa i Bienni dovevano, per legge, diventare ordinamentali: non lo sono diventati. Noi come istituto eravamo tenuti a concludere l’iter per il passaggio a ordinamento, e lo abbiamo fatto. Ma nulla è seguìto.

Eppure negli ultimi tempi c’è un gran fervore ministeriale: Cantiere, consultazione degli “stakeholders”, atto d’indirizzo del Ministro…

Sono iniziative molto recenti. Ci fanno pensare – o temere, a seconda dei punti di vista – che qualcosa stia effettivamente bollendo in pentola. Che cosa, non si sa. Da più parti arrivano segnali del tipo “i Conservatori sono troppi, bisogna razionalizzare”. C’è chi dice che i pre-accademici non vanno bene (su questo vorrei osservare: certo ci creano problemi. Ma se non ci fossero saremmo già morti. In tutta la Liguria ci sono 2 licei musicali. Quest’anno c’è la prima maturità: le stime dicono che da noi arriveranno 6/7 studenti. E allora che facciamo? Alcuni Conservatori si sono convenzionati con scuole private, io sto riflettendo su questa ipotesi pur con qualche perplessità).

Hanno avuto luogo le audizioni degli “stakeholders” da parte del Cantiere?

Che io sappia, con i direttivi delle Conferenze dei direttori e dei presidenti dei Conservatori i colloqui hanno avuto luogo. I nostri rappresentanti hanno portato proposte a proposito dei Bienni, che non sono ancora a ordinamento, a proposito del finanziamento che non solo viene sistematicamente tagliato ma non viene neppure tempestivamente comunicato, tant’è che ad oggi non sappiamo quale sarà il nostro per l’anno in corso. Quello che ci aspettiamo è però un progetto di riassetto complessivo. Che ancora non si è visto.

C’è un grande impegno sul Premio Abbado.

E’ vero, ci impegna molto. Anche perché anziché partire l’anno scorso come previsto, parte ora e con scadenze estremamente ravvicinate. I Conservatori che sono chiamati a realizzarlo sono sotto pressione. Le sedi di concorso dovranno selezionare studenti che arrivano da tutti i Conservatori, hanno da organizzare una serie di giornate di concorso, hanno da fare i regolamenti, da formare commissioni che non devono essere composte da docenti ma da artisti di “chiara fama”. Con le conseguenze che puoi immaginare sul piano economico e su quello organizzativo.

Allora la domanda è d’obbligo: questa iniziativa ha un valore strategico rispetto alla situazione generale di cui parlavamo prima?

La domanda è bella; la risposta è perplessa. Questa iniziativa è ben lodevole: si tratta pur sempre di borse di studio per gli studenti. Però (e non parlo solo del nostro settore, ma in generale del governo della cultura) mi pare che si proceda troppo spesso per iniziative clamorose, trascurando la gestione del quotidiano. Voglio dire, se questo milione di euro che viene speso per il Premio fosse stato dato ai Conservatori per il loro funzionamento, ebbene forse gli studenti se ne sarebbero giovati di più. Intendiamoci, capisco bene che il Premio avrà un’ampia risonanza, se ne parlerà su tutti i giornali, sarà un bel modo di ricordare Claudio Abbado, e gli studenti avranno le borse. Diciamo che sarei molto contento se tutto questo fosse affiancato da una reale iniziativa dei sviluppo del settore. Se è destinato a sostituirla, molto meno.

Resta dunque da scoprire come stanno insieme le intenzioni di rilancio espresse nel Cantiere con la pratica quotidiana.

I segnali che si vedono sono contraddittori. Per esempio si è avuta la sensazione che facesse breccia il discorso che i Conservatori siano troppi. Poi però si è proceduto all’immissione in ruolo di molti docenti. Se alcuni settori li vuoi chiudere cosa ne fai dei docenti che hai assunto?

E più in generale: si dice spesso che la cultura è il motore e il cuore del nostro sviluppo, ma poi in un quadro di scarsità di risorse è sempre la cultura a subire per prima i tagli. A questo si aggiunge, diciamocelo chiaramente, il problema che il nostro settore “pesa” molto poco. Se i rettori delle Università minacciassero la chiusura ci sarebbero ben altre conseguenze che se fossero i direttori dei Conservatori a fare altrettanto. Siamo una entità “piccola”, anche se abbiamo il più alto tasso di studenti stranieri.

Aggiungo una considerazione più di dettaglio, ma che s’inserisce nel discorso. Si parla spesso di autonomia delle istituzioni. Finora, l’unica concreta possibilità di orientare autonomamente la nostra offerta formativa stava nella cosiddetta riconversione delle cattedre lasciate libere dai pensionamenti.  Ebbene: quest’anno a Genova sono andati in pensione 7 docenti. Era l’occasione migliore per intervenire rimodellando la nostra offerta. Invece il Ministero, con decreto, ha fermato la riconversione di cattedre perché era in corso la messa in ruolo dei docenti. Aspettiamo quindi norme nuove per il reclutamento, che ci consentano di muoverci meglio.  

Questo era però già previsto nella 508, nel famoso regolamento dell’art. 2 comma 7, quello che non è mai arrivato.

Si tratta di capire se la 508 la si considera ancora valida, oppure no. Del resto, se vogliamo parlare di leggi, come ricordavo prima era scritto in una legge che i Bienni dovessero andare a ordinamento entro il 2013: e siamo nel 2015. Si continua a spostare il discorso in avanti, è questo che ci sta facendo male. Perché a nostra volta, come istituzioni, non siamo in grado di dare garanzie.

Però questo governo è un governo “forte”. Forse questo potrebbe consentire di sciogliere il nodo. O i molti nodi.

Può darsi che il discorso del Cantiere sfoci in modifiche della 508. Può darsi che il Cnam venga superato, dopo tutto sono oltre due anni che non c’è. Può darsi che il discorso dell’autonomia – uno dei dirigenti del Ministero, mi pare Livon, l’ha detto onestamente in Conferenza – venga modificato e in qualche modo delimitato. C’è da sistemare tutto il caos delle varie graduatorie, e del relativo contenzioso. I segnali che sono arrivati finora, come dicevo, sono abbastanza contraddittori: sarebbe interessante capire se c’è un disegno coerente.

Tu come lo vorresti?

A me piacerebbe un disegno strategico che riguardasse insieme i Conservatori e gli organismi di produzione, teatri in testa. Non possiamo non tener conto di dove andranno i giovani che prepariamo. La crisi dei teatri è a un punto che richiede un intervento generale. Abbiamo un ministro della cultura che giustamente indica nel settore della musica uno dei punti di forza del Paese, che per questo è conosciuto in tutto il mondo. Si parla di una uscita dalla crisi economica fra 2015 e 2016. Mi piacerebbe che, passata la crisi, si mettesse mano a un piano di rilancio della cultura. E poter pensare che in questa prospettiva i due Ministeri in qualche modo dialoghino e creino i presupposti perché il discorso dei teatri e quello dei Conservatori non viaggino separati ma si compongano in un disegno d’insieme.

Come vedi la questione dei nostri giovani che vanno a lavorare all’estero?

E’ certamente un problema, e ci dice due cose. La prima è positiva: nonostante quello che spesso si sente dire, il livello di preparazione dei nostri studenti non è poi così basso. Una quota di questi studenti – non tutti ovviamente, ed è normale che sia così – sono considerati di livello medio-alto nel confronto europeo. Questo è un dato incoraggiante, di cui si deve tener conto. Vuol dire che i Conservatori soffrono per una serie di motivi ma tuttavia mantengono e offrono una discreta tradizione. E dico discreta, non pretendo di dire ottima.

La seconda questione è quella cui accennavo prima: manca un effettivo collegamento fra Conservatori e mondo del lavoro musicale. Questo sarebbe tanto più necessario quando viene a mancare o a indebolirsi il contesto produttivo. I tempi sono molto diversi da quelli in cui è entrata nel lavoro la nostra generazione. Quando io ho cominciato a fare il critico, c’erano in questa città una miriade di stagioni e iniziative musicali, molte delle quali puntavano sui giovani ed erano un’ottima palestra e una strada verso la professione. Oggi a Genova, al di là del Carlo Felice, della GOG e dell’Associazione amici del Carlo Felice e del Conservatorio, non c’è nient’altro. I giovani si devono spesso “inventare” un’attività, fondare una propria iniziativa, creare gruppi, cercare programmi particolari, insomma farsi imprenditori di se stessi. E mi sembrano ammirevoli. Ma tutto è più difficile.

Cosa ci può fare il Conservatorio: se avesse più sicurezza, se avesse più fondi, se non dovesse gestire quattro ordinamenti insieme, potrebbe – e io spero comunque di cominciare dall’ottobre prossimo – creare occasioni di concerti per neodiplomati, aiutandoli a entrare nella professione. Ho proposto al Carlo Felice di fare delle cose insieme. Per esempio che dei nostri studenti, bravi, possano andare a suonare in orchestra almeno nelle prove. Se ci fosse una cornice comune a Teatri e Conservatori forse queste iniziative potrebbero essere agevolate, superando una serie di ostacoli che oggi possono incontrare, anche a livello normativo e sindacale.

In sintesi: una visione generale del discorso sulla musica farebbe bene a tutti.

Bisogna capire se ce ne sono i presupposti.

Certo. Però tu hai parlato poco fa di un governo “forte”. Quello di cui parlavo fin qui sarebbe un cambiamento profondo, che questo governo potrebbe forse fare, se lo volesse. Del resto la musica al momento buono interessa, eccome. All’Expo è previsto che ogni settimana uno o due Conservatori portino musica. Quindi la musica è considerata un elemento identitario importante del Paese. E chiamano proprio il settore Afam: segno che gli viene attribuito un valore.

Però occorre stare attenti a che il Conservatorio non diventi un fornitore di musica low-cost, o gratis, facendo così concorrenza ai propri stessi diplomati in cerca di una professione. Parlavo prima del buon inserimento del Conservatorio di Genova nelle iniziative della città, ed è un valore per noi. Ma siamo ben consapevoli e vigili sul rischio di tenere i giovani in un apprendistato infinito, senza sbocchi reali. In tempi di espansione economica, dire a un giovane “suona gratis, ti farai le ossa” era anche giusto, perché prima o poi effettivamente trovava lavoro – e questo avveniva in tutti i campi. Oggi è diverso.

I Conservatori spesso non godono di buona stampa.

Certo, c’è in giro l’idea che si tratti di carrozzoni statali e così via. Ma è un’idea sbagliata. In realtà siamo delle fabbriche musicali dove si lavora dalle 8 del mattino alle 8 di sera, e dove si produce anche abbastanza bene. Certo ci sono delle differenze, come in ogni altro settore. Ci sono squilibri territoriali innegabili. E questo per un doppio problema. Intanto, nel periodo dell’espansione del sistema bastava una pressione politica locale per fare aprire un Conservatorio, senza una programmazione nazionale.

Questo è avvenuto anche per l’Università.

Vero. Ma c’è la seconda ragione, ed è che i Conservatori sono stati molto a lungo l’unica istituzione pubblica in cui si potesse studiare seriamente la musica. Quindi hanno svolto un ruolo di supplenza, snaturandosi: da scuole a vocazione professionale, a scuole di tipo formativo generale. Questo in molti casi ha generato un calo di livello artistico. Del resto tutti noi “vecchi” ci ricordiamo quali fossero le dimensioni, e il numero delle cattedre, del Conservatorio quando ci siamo entrati.

C’è nei Conservatori chi ritiene che il calo di livello sia da attribuire al passaggio a istituzione accademica, con conseguente incremento delle discipline teoriche.

Lo pensano in primo luogo i docenti che erano e sono rimasti contrari alla riforma. Ma hanno una parte di ragione, e bisogna tenerne conto. Perciò è necessario avere la possibilità di fare correzioni, sulla base dell’esperienza condotta fin qui. Anche, per esempio, alleggerendo la parte teorica dello studio a favore di quella pratica. Con questo non si toglie importanza al dato fondamentale della riforma, quello di allineare i nostri ordinamenti e i nostri titoli a quelli europei. Oggi la priorità, a mio avviso, è la sistemazione a ordinamento dei Bienni, con la conseguente possibilità di aprire dei Master e di fare perfezionamento. Dico perfezionamento vero, non semplicemente un prolungamento.

In conclusione: il prossimo passo che aspettiamo è ciò che il Cantiere produrrà.

Che il Cantiere indichi una direzione, e che il Ministro prenda le conseguenti decisioni. Ma conoscere la direzione sarebbe intanto un bel passo avanti.


Febbraio 2015

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