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INTERVENTI

 

Il Cantiere, l'Afam, la riforma

Conversazione con Bruno Carioti


di Sergio Lattes



Bruno Carioti, compositore, è stato per molti anni direttore del Conservatorio dell'Aquila e presidente della Conferenza dei direttori. Attualmente è direttore dell'Accademia Nazionale di Danza. E' uno dei componenti del "Cantiere Afam", istituito dal ministro Giannini nell'ottobre 2014.

 

Partiamo dallo stato dell'arte. Ci sono notizie recenti?

In questo momento la notizia è che non ci sono notizie. Il Cantiere ha avuto un'attività iniziale piuttosto intensa. Ora non viene convocato da vari mesi, ed è facile capire che ci sono state urgenze maggiori: la "Buona Scuola", le immissioni in ruolo. Penso però che nei prossimi mesi il discorso Afam sarà ripreso.


Facciamo un riassunto delle puntate precedenti.

La prima fase è stata la stesura del documento "Chiamata alle arti". Questa stesura è stata fatta dopo una serie ampia di audizioni, dai presidenti delle Conferenze alle forze sindacali a altri stakeholder come varie associazioni che sono portatrici di istanze specifiche dei vari settori. Il documento che ne è scaturito contiene una parte di presa d'atto di problemi del sistema, e una parte di proposte d'intervento. Tutti gli interlocutori sono stati invitati, oltre ad esporre il proprio punto di vista sullo stato dell'arte, anche a indicare risposte alle domande che il documento poneva.

Di queste risposte si è fatta una prima analisi prima della sospensione dei lavori. Si tratterà di capire se convenga formulare delle proposte di miglioramento del sistema, o piuttosto di conclusione di un percorso – quello della riforma – cominciato ormai da molti anni. Manca tutta una serie di regolamenti attuativi, e sopratutto manca il nuovo CNAM, o meglio manca il regolamento per la sua elezione. Siamo in una sorta di limbo, in cui il Ministero ha avuto la facoltà di bypassare, su alcune materie, il parere del CNAM [legge 107/2015; su questo argomento vedi qui>> al capoverso "Le norme"]; ma speriamo di ripartire presto. Sui regolamenti ancora da emanare, e sui criteri di composizione del CNAM, penso che il Cantiere dovrà pronunciarsi.


Resta comunque il fatto che dopo 16 anni il processo della riforma è ancora incompiuto.

Bisogna tener conto che il nostro settore, anche se è estremamente importante per un paese come l'Italia, è tuttavia molto piccolo rispetto sia alla scuola che all'università: e questo ne limita purtroppo il "peso" politico. Va anche ricordato che in vari paesi europei il nostro settore dipende dai Beni culturali e non dall'Istruzione.


Visto che la questione principale in sospeso è quella della distribuzione territoriale del sistema, si potrebbe anche pensare a resistenze interne...

Si potrebbe pensarlo se si fosse veramente avviata una discussione su questa questione. Ma nessuno ha posto sul tavolo un'ipotesi – dico, per fare un esempio qualsiasi: solo alcune sedi diventano "Conservatori superiori". Questa discussione in realtà non è stata fatta, anche se il problema della distribuzione territoriale del sistema è uno dei nodi fondamentali.


In questi giorni circola una petizione contro la "secondarizzazione" dell'Afam.

Questa è una faccenda diversa, riguarda solo la contrattualizzazione dei docenti. Nel 2005 fu ottenuta l'istituzione del comparto dei docenti Afam, separandolo da quello della scuola secondaria e portandone la contrattualizzazione su un altro tavolo. Ora il Ministero della Funzione pubblica va verso un riaccorpamento dei comparti. Questo riguarda lo stato giuridico dei docenti, mentre le istituzioni continuano a dipendere dal Dipartimento dell'Università.


C'è una certa contraddizione...

Lo penso anche io. E penso anche che riportare lo stato del docenti verso la secondaria sia un segnale, un segnale "forte". Le preoccupazioni non mi sembrano infondate.


Cerchiamo ora di dare uno sguardo più ampio a quelle che sono gli sviluppi possibili del sistema, e penso in particolare al comparto musicale.

Penso che bisogna partire dalla fascia pre-accademica. Occorre capire in che misura si sia disposti a investire nelle scuole medie a indirizzo e nei licei musicali, e dall'altro lato in quale misura queste strutture possano rispondere alle esigenze di un percorso professionalizzante, quello che conduce all'alta formazione specifica. E questo vale anche per la danza, dove l'esigenza di una formazione precoce è ancora più stringente.


Per la musica le istituzioni sono, se non erro, 74. Possono essere tutte dedite a formare musicisti di professione?

Ne dubito. Il problema mi sembra proprio quello della specializzazione. Certo non c'è un disegno generale che tenga conto del mercato del lavoro, e che regoli lo sviluppo dei Bienni. Ciascuna istituzione, giustamente se vuoi, ha cercato di seguire al meglio le proprie inclinazioni, le proprie eccellenze. Ma mentre il primo livello ragionevolmente può avere un'utenza più ampia, il livello specialistico dev'essere realmente tale, non può essere un mero prolungamento o una diluizione del percorso. E per essere effettivamente una specializzazione deve esserlo anche sul piano della docenza. Cosa che ora non avviene, salvo casi fortunati ove per caso la singola istituzione abbia potuto far leva su docenti interni realmente dotati di una forte esperienza professionale in questa o quella particolare disciplina.

Tornando quindi alla tua domanda sullo sviluppo possibile del sistema, non penso che alla fine tutti possano fare tutto. Mi immagino che in qualche modo debbano emergere delle "punte" dedicate a una specializzazione vera. Penso per esempio a quelli che si chiamavano diplomi di virtuosità al Conservatorio superiore di Parigi: percorsi dedicati a una specializzazione estrema, in particolare esecutiva. Ma, per rimanere all'esempio francese, la formazione di base dei docenti avviene nei Conservatori regionali (e poi prosegue con una formazione congiunta con l'Università). Questo potrebbe essere anche da noi uno degli obiettivi del primo livello, con diffusione ampia in tutto il sistema. Quello che non ha senso è tenere insieme chi è interessato a una formazione strumentale d'eccellenza con chi fa un percorso strumentale degno, per poi approdare all'insegnamento o alla musicoterapia o ad altre discipline collegate con la musica.


In questo disegno, bisognerà a un certo punto dire ai docenti che non tutti possono insegnare tutto...

Questo è lo snodo, è il punto più difficile: e qui entra in gioco la responsabilità politica. Vanno fatti i conti con il dato che comunque noi andiamo verso un tipo di società in cui si diffonde il concetto di valutazione della qualità. Nel concreto, se ci sono dei docenti che hanno fatto un certo tipo di iter professionale, magari a livello internazionale, per quello e su quello andranno valorizzati. Non so immaginare in questo momento i meccanismi giuridici che dovranno essere escogitati, ma in sostanza bisognerà prendere atto, anche in questo ambito, che non siamo tutti uguali. Negarlo significa negare la realtà.


Rimane il fatto che se si pensa a uno sviluppo organico dell'educazione musicale nella scuola ordinaria bisogna provvedere alla formazione dei docenti, e si tratterà di migliaia di docenti. Questo dovrebbe essere parte integrante della mission dei Conservatori.

Assolutamente, lo deve essere, e questo va tutelato. Diffusione dell'educazione musicale significa diffusione della pratica musicale, e non solo di nozioni e di ascolto. Solo nei Conservatori può essere credibilmente fatta una formazione dei docenti in questa direzione. Ovviamente le competenze di tipo non musicale, che pure sono indispensabili alla formazione docenti, vanno attinte all'Università, e in questo io vedo occasioni di collaborazione e di integrazione fra i due sistemi, e non di concorrenza. L'importante è che ciascuno faccia il suo mestiere, e non quello dell'altro. I problemi semmai nasceranno dal nuovo sistema del TFA (tirocinio formativo attivo), che se ho ben capito prevede una formazione triennale dopo il Biennio: il problema sarà allor quello di riqualificare il Biennio stesso, se la formazione dei docenti è collocata interamente dopo il titolo di II livello.


Ci saranno dei costi...

Nulla si può fare senza investire, in particolare se si vuole innovare. Quello del "costo zero" è un mito, ed è fra l'altro una delle ragioni dell'impasse della legge 508, che anch'essa recava quella clausola. O se vogliamo meglio dire, il costo della riforma è stato sostenuto dagli studenti: basta pensare alle tasse di frequenza di 20 anni fa, e a quelle di oggi.


Vorrei ora portarti su un argomento più specifico. Il sistema è in grado di reggere la "perdita" della fascia pre-acccademica? Alcuni Conservatori interpretano la legge in questa direzione.

Sono contrario. Dal punto di vista dell'occupazione, il sistema non è in grado di reggere, si andrebbe verso un eccesso di 1500/2000 docenti. Istituti che hanno un territorio di riferimento con milioni di abitanti possono forse pensare di assorbire tutta la docenza nell'alta formazione, istituti che hanno un bacino di utenza di 50 o 100 mila abitanti non possono fare a meno dell'utenza pre-accademica.

Ma sopratutto non sono d'accordo dal punto di vista culturale e pedagogico. Una formazione musicale professionale non può cominciare dopo la maturità, c'è bisogno di un percorso formativo rigoroso da un'età molto più precoce, se si vogliono formare degli strumentisti.


A questo argomento vorrei proporti due obiezioni. Una è che ben raramente le persone manifestano una vocazione professionale definita a dieci o undici anni di età, e di conseguenza portare in una istituzione specialistica un ragazzino di quell'età può essere un errore pedagogico. L'altra è che in questo modo solo poche persone possono permettersi di portare un ragazzino in un istituto che in genere è collocato al centro di una città media o grande. In questo modo la selezione dei talenti che i Conservatori riescono a fare avviene su una base molto ristretta: si rinuncia alla maggioranza della popolazione di riferimento, e la selezione in definitiva è inefficace.

Per fare quello che dici ci vorrebbero 20 licei musicali solo a Roma, o magari una sezione musicale in ogni liceo classico, per dire, e in ogni scuola media. La selezione territoriale in una scuola media a indirizzo, o in un liceo musicale, è più stringente che in un Conservatorio: per un ragazzo una cosa è frequentare lontano da casa due volte alla settimana, un'altra andare ogni giorno a scuola lontano o lontanissimo. Nei Conservatori di alcune città ci sono studenti che fanno anche 80 chilometri, magari con la neve, per andare a lezione. Potrebbero farli tutti i giorni per andare al liceo? Evidentemente no.

Quanto all'aspetto sostanziale, ne parlavo prima. Un percorso rigoroso, unitario, orientato verso la professione, guidato dal docente di Conservatorio – non necessariamente sempre lo stesso, peraltro – è necessario per la formazione di uno strumentista. Si tratta, come dicevo, di una formazione che sotto certi aspetti dev'essere compiuta entro i 18 anni. Del resto ti faccio osservare che nessuno ha pensato di eliminare i centri del CONI che formano gli atleti, quando è stato istituito il liceo sportivo: hanno funzioni e finalità diverse.


E se invece qualcuno tirasse fuori dal cilindro la soluzione di fare degli attuali Conservatori i veri licei musicali, lasciando l'alta formazione solo a poche sedi? Dopo tutti solo nei Conservatori ci sono le strutture, gli strumenti, l'insonorizzazione, le aule per fare dei licei musicali efficienti.

E' un rischio reale. Specie se ci si ostinasse a conservare a tutti i costi lo statu quo: tutti uguali, todos caballeros. E tutti professori universitari, perchè questa è l'aspettativa generata – legittimamente, non discuto - dalla riforma. D'altro canto però non si potrà non tener conto che l'Italia è un paese policentrico, che difficilmente può adattarsi a un modello fortemente centralizzato. Non è nella nostra storia.


Infine un paio di questioni specifiche. Come funziona l'Afam senza la Direzione generale Afam?

Con difficoltà. Non è certo colpa di nessuno, la ristrutturazione è stata determinata da fattori di ordine generale, anche macroeconomico. Certo dover gestire insieme università, ricerca e afam comporta a volte difficoltà e ritardi nelle risposte. Ciò che finisce spesso per creare problemi alle istituzioni.


Seconda e ultima: la relazione del sistema Afam con Anvur. Questa relazione appare oggi incompiuta perchè è stata istituita solo la valutazione interna – quella dei Nuclei – mentre l'accreditamento dei corsi è rimasto limitato alle istituzioni private che chiedono di entrare nell'Afam.

C'è una certa confusione, intanto, fra valutazione interna ed esterna. Mi sembra improprio il principio – non so se poi effettivamente avvenga così - che le valutazioni dei Nuclei debbano essere raccolte dal Ministero e concorrere a determinare i finanziamenti alle istituzioni. Un organismo formato ed espresso dall'istituzione non può essere determinante in una valutazione che a sua volta abbia influenza sul finanziamento. D'altro canto manca la valutazione esterna, che è altra cosa. Credo che la quality assurance sia essenziale, e che per ottenerla non si possa fare a meno della vautazione esterna.

All'università la valutazione esterna delle istituzioni ha provocato molti mal di pancia...

Se si vuole migliorare, può essere necessario anche il mal di pancia. La condizione di non misurarsi con l'esterno a lungo andare è negativa per una istituzione.


Mi rimane l'argomento degli esiti occupazionali. Nelle statistiche ministeriali non si trovano dati. Alcuni Conservatori stanno aderendo al consorzio Almalaurea, ma siamo ancora molto lontani dalla raccolta di dati sugli esiti occupazionali.

Io sono molto favorevole all'adesione ad Almalaurea delle istituzioni Afam. Dati sugli esiti occupazionali dei diplomati non ce ne sono, se si esclude la ricerca Censis>> di molti anni fa. Per me sarebbero dati indispensabili alla stessa programmazione dell'offerta formativa. E allo stesso modo sono molto favorevole all'armonizzazione degli ECTS (European Credit Transfer System), anche questo è un terreno su cui siamo abbastanza indietro.


Una considerazione conclusiva.

Mi auguro che anche attraverso il lavoro del Cantiere si possa arrivare a un intervento significativo sulla riforma. Occorre un esame della situazione spregiudicato, che sia anche un esame di coscienza, per così dire. Se dopo 15 anni non siamo riusciti a chiudere la riforma, non possiamo escludere l'ipotesi che abbiamo sbagliato qualcosa – per esempio la questione dei Bienni di cui parlavo prima - , che qualcosa vada ripensato o riformulato o cambiato. Ammettere di aver sbagliato può anche comportare scelte dolorose, ma necessarie. L'importante è avere il coraggio di fare questa analisi: anche sulla legge stessa. Non dimentichiamo che la 508 è "gemella" della riforma universitaria (509), e che da allora l'università ha avuto altre due leggi di riforma.

 

 ottobre 2015

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