Eppure la qualità del Paese di domani è
legata a quella del nostro odierno sistema d'istruzione a cui è affidato il
compito fondamentale di fornire ai giovani gli strumenti culturali
indispensabili per scegliere e realizzare il mondo futuro in cui vorranno
vivere.
Ma la qualità della scuola non può
prescindere da quella dei suoi insegnanti, per questo ci preoccupa l'assenza di
una riflessione seria su quale sia il percorso necessario per formare un docente
capace di interpretare al meglio il ruolo decisivo che lo Stato gli affiderà.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a
cambiamenti continui nella formazione iniziale dei docenti con il moltiplicarsi
dei canali per acquisire l'abilitazione e il passaggio a ruolo, ma mentre per il
ciclo primario si è giunti ad un livello di chiarezza e anche di efficacia
significativo lo stesso non può dirsi per la scuola secondaria.
Per questo livello scolare, dopo le
esperienze delle SISS, e poi dei TFA e dei PAS sembrava che con la legge 107 si
fosse delineata e imboccata una strada nuova che prevedeva il cosiddetto FIT,
concorso con percorso triennale per arrivare all'assunzione a tempo
indeterminato. Con l'ultima legge di bilancio tuttavia siamo tornati indietro, e
non di poco. Da un percorso che era stato criticato perché giudicato tra i più
lunghi d'Europa siamo passati a uno che è sicuramente tra i più brevi.
Allo stato attuale è sufficiente una
laurea magistrale con l'aggiunta di 24 CFU (poco più di un trimestre
universitario) e il superamento del concorso per entrare a ruolo nella scuola.
Se qualcuno pensa che sia sufficiente evidentemente significa che ritiene
insegnare una semplice trasmissione di ciò che si sa a chi non lo sa.
Noi sappiamo che non è così, che non di
trasmissione si tratta ma di co-costruzione di un sapere che deve fondarsi sulla
comprensione profonda se vogliamo che si radichi nella testa dei nostri
studenti. Altrimenti non si trasformerà in loro in un modo di pensare e di agire
personale e duraturo ma rimarrà come indottrinamento, sterile e volatile.
Crediamo che vada rivista in profondità
l'attuale normativa recuperando l’idea di una specializzazione per
l'insegnamento che abbia la durata e il valore di almeno un anno accademico con
60 crediti, da acquisire dopo la laurea magistrale e prima del concorso.
Ovvio che possono essere previste diverse
forme di flessibilità, riconoscendo ad esempio i 24 crediti attualmente
richiesti all'interno dei 60, oppure garantendo diverse forme di accesso alla
specializzazione per chi abbia crediti legati ad esperienze scolastiche già
svolte.
Ma non è questo il punto principale, e
nemmeno lo è in questo momento come questi crediti debbano essere ripartiti tra
i vari insegnamenti disciplinari e traversali.
Il punto fondamentale è sancire una volta
per tutte che per insegnare occorre essere specificatamente formati, e che
questo grande impegno deve vedere l’assunzione congiunta di responsabilità da
parte dell’Università e della Scuola. Ciascuna ovviamente con ruoli e compiti
specifici, ma entrambe disponibili a svilupparsi nel segno di quella
collaborazione che è indispensabile per formare docenti in grado oggi di
svolgere il ruolo che li attende.
Novembre 2019