Il congresso AEC, un bilancio
Una conversazione con Lucia Di Cecca
di Sergio Lattes
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Nel recente Congresso AEC di Torino Lucia Di Cecca è stata eletta per un secondo
mandato nel Council dell’Associazione,
unico membro italiano.
Seconda nell'ordine dei più votati con 77 voti su 109, ha raccolto
quindi consensi da molti delegati di tutta Europa e non solo italiani. Lucia Di Cecca insegna al Conservatorio di S. Cecilia a Roma ed è fondatrice e
coordinatrice del progetto europeo Working
with Music, che offre stage professionali all’estero, sostenuti
da borse di studio, a
diplomati dei Conservatori italiani e comprende ad oggi le istituzioni Afam di
17
città.
Le
abbiamo chiesto un commento “a caldo” sui lavori e sul significato del
Congresso.
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Il Congresso AEC (Association Européenne del Conservatoires, des
Académies de musique et des Musikhochschulen) si è svolto dal 7 al 9 novembre
2019 presso il Conservatorio di Torino, ed è stato intitolato
Re-imagining Success? - Strengthening
Music in Society. Se ne può fare un bilancio “a
caldo”?
Un Congresso AEC può essere considerato da più
punti di vista.
Quello dell’AEC, ovviamente: c’è un grande
lavoro di riflessione dietro ogni singola sessione del Congresso, ogni suo
momento deve avere una sua ragione d’essere e tutto deve essere funzionale alla
visione e alla strategia dell’Associazione.
C’è il punto di vista di chi partecipa: noi
sappiamo, dai questionari di gradimento, che le ragioni per partecipare a un
Congresso sono per lo più la possibilità di creare rapporti con altre
istituzioni, scambiare buone pratiche, ricevere aggiornamenti sulle attività
dell’AEC stessa, e approfondire specifiche tematiche.
Poi c’è il punto di vista del Conservatorio che
ospita l’evento, per il quale il lavoro di organizzazione e l’impegno anche
economico vengono – si spera – ripagati dalla ricaduta in termini di visibilità
e di prestigio.
Nel caso di un Congresso in Italia, secondo me,
c’è un quarto punto di vista, che è quello del nostro mondo dell’Alta Formazione
Musicale.
Appunto. La nostra riforma, il
contesto europeo. Quale relazione fra loro.
Il
nostro è un Paese che in qualche modo ha subìto la riforma del 1999, imposta
dalla necessità vincolante di adeguare l’Italia a un impegno assunto in
sede
europea (il "processo di Bologna"). Dopo vent’anni ancora non sono sciolti tutti i nodi creati da quella
riforma, e si deve combattere giorno dopo giorno per la sopravvivenza del
sistema.
I problemi nati da una cattiva pianificazione
politica hanno gettato ombra sui meccanismi virtuosi che il Processo di Bologna
ha innescato, rendendoli di fatto difficili e talvolta impossibili da
realizzare.
Se ne ripercorriamo la storia, scopriamo che
l’obiettivo iniziale del Processo di Bologna, quello di favorire la mobilità
degli studenti, ha dato origine nel corso degli anni a ulteriori obiettivi,
sempre più alti e interessanti, arrivando più recentemente a intrecciare
profondamente la formazione superiore con la responsabilità sociale.
Hai detto cattiva pianificazione.
Perchè tanta fatica per stare al passo con i processi in corso? C’entra il
carattere farraginoso e disorganico, tipico del nostro modo di legiferare?
Da un lato siamo schiacciati dalla
quotidianità, dall’altro dal dover continuamente superare ostacoli imposti dalle
norme. O dalla mancanza delle norme, che è ancora peggio. Ma ci sono anche
questioni di mentalità e di cultura. Per esempio, in Italia una parola come
“Qualità” – una delle più usate all’interno del Processo di Bologna - suscita
una reazione che va dal sorriso scettico all’irritazione. E invece “Qualità” è
lo strumento più forte e concreto che abbiamo per garantire ai nostri studenti
non solo una formazione di valore, ma anche la possibilità di vedere
riconosciuti i propri studi in tutto il mondo.
Al di là delle motivazioni
d’immagine, è stato importante per noi che il Congresso si sia tenuto in un
Conservatorio italiano?
Un Congresso AEC, che nel Processo di Bologna
ha la sua più profonda ragion d’essere, è una porta aperta sul futuro. Se si
svolge in Italia diventa anche la prova concreta della nostra volontà di
italiani di partecipare alla discussione sul futuro e alla sua costruzione,
nonostante tutto.
Entrando un po’ più nel dettaglio,
quali ti sono sembrati i momenti più rilevanti del Congresso, quali i risultati
migliori.
La struttura del Congresso si è
andata evolvendo negli anni in modo da riflettere il più possibile la
varietà di interessi e problematiche all’interno dei suoi membri, e quindi
rispondere alle loro necessità, e allo stesso tempo cercare di anticipare i
tempi affrontando argomenti che stanno diventando cruciali nel nostro settore o
più in generale nella società. Tutto questo si traduce in una serrata
articolazione in sessioni plenarie e parallele, tavole rotonde, gruppi di
discussione; il pomeriggio dell’ultimo giorno è invece dedicato all’Assemblea
generale durante la quale i membri votano le proposte del Council, l’organo
direttivo dell’Associazione.
Mi chiedevi quali sono stati secondo me i
momenti più rilevanti. Non è facile rispondere, perché sul Congresso vengono
convogliati i risultati delle tante attività coordinate dell’AEC e insieme
vengono lanciate nuove iniziative.
Vale la pena di ricordare che l’AEC riceve un
finanziamento comunitario molto consistente attraverso lo schema “Reti europee”
del programma Europa Creativa; il progetto, iniziato nel 2017 e che accompagnerà
la vita dell’Associazione sino al 2021, si basa su sette focus:
-
Ruolo della musica e delle
istituzioni di formazione superiore nella società
-
Diversità, identità,
inclusività
-
Mentalità imprenditoriale per i
musicisti
-
Internazionalizzazione e
mobilità transnazionale
-
Dar forma al musicista di
domani attraverso un insegnamento & apprendimento innovativo
-
Formazione degli insegnanti
nell’era digitale
-
Coinvolgere la gioventù –
accrescere la voce degli studenti
A ciascun focus si dedica un gruppo di lavoro
che presenta periodicamente lo stato dell’arte, e durante il Congresso sono
state utilizzate a questo scopo alcune delle sessioni parallele.
L'ombrello che riunisce
tutto è la volontà di rinforzare il ruolo della musica nella società, e infatti
il titolo del progetto è "Strengthening
Music in Society".
Altre sessioni sono state dedicate a progetti
di istituzioni membri, nei quali l’AEC ha ufficialmente il ruolo di diffondere i
risultati, come SWING (coordinato dal Conservatorio di Trieste) e INTERMUSIC
(coordinato dal Conservatorio di Milano), per citare alcuni di quelli che fanno
capo a istituzioni italiane, entrambi focalizzati su aspetti IT della
performance e dell’insegnamento.
Un terzo gruppo di sessioni si è invece
occupato di tematiche rilevanti ma non strettamente collegate a progetti in
essere. Tra queste ci sono le due sessioni che ho moderato io stessa. La prima è
stata sul Processo di Bologna in vista della Conferenza che si terrà a Roma nel
2020 e che tirerà le somme del lavoro svolto nei due anni di Presidenza italiana
del Bologna Follow Up Group; l’esito sarà un comunicato, a firma dei ministri
dei paesi dell’Area Europea dell’Istruzione Superiore (EHEA), che influenzerà le
politiche nazionali nel settore dell’alta formazione negli anni a venire.
La seconda tavola rotonda che ho moderato si è
occupata dei titoli di studio digitali. Oggi è molto sentita la necessità che un
titolo di studi sia riconosciuto ovunque. Uno dei problemi che rende questo
riconoscimento difficile è la possibilità di falsificare anche con grande
facilità qualsiasi tipo di certificazione; è per trovare modalità che
garantiscano la veridicità di un titolo che è nato il Groningen Declaration
Network, di cui fanno parte anche l’AEC e l’italiano CIMEA; proprio il CIMEA ha
creato un interessante sistema di certificazione basato sulla blockchain, la
tecnologia che è alla base anche della valuta digitale bitcoin. Può sembrare
strano, ma un titolo digitale, se prodotto rispettando determinati protocolli, è
assai più “sicuro” di un titolo cartaceo.
Accennavo prima ai gruppi di discussione. E’
una novità abbastanza recente del Congresso AEC. Tutti i partecipanti vengono
assegnati a un certo numero di gruppi di discussione su argomenti proposti dal
Council. Lo scopo è quello di stimolare uno scambio di idee e buone prassi tra
paesi nei quali quelle tematiche sono trattate in modi molto diversi.
L’autonomia delle istituzioni nel reclutamento dei docenti è stata uno dei tre
temi di discussione di quest’anno, sicuramente uno dei più seguiti dagli
italiani presenti.
Un’altra novità è nell’attenzione che questo
Congresso ha dato a due problematiche molto attuali, la sostenibilità ambientale
e le relazioni di potere. In particolare è stata avviata una riflessione su come
si possa contrastare l’uso sbagliato dei rapporti di potere all’interno dei
Conservatori di Musica ed è stata annunciata la nascita di una sorta di
“Assemblea degli stakeholder”.
Per concludere questa panoramica, penso sia il
caso di ricordare che durante il Congresso si svolgono anche gli incontri
regionali, ad ognuno dei quali partecipano i membri di un gruppo di paesi.
L’Italia è l’unico paese ad avere un incontro riservato, dato l’elevato numero
di propri membri. Questi incontri, presieduti ciascuno da un componente del
Council (e quindi da me, nel caso dell’Italia), hanno un peso molto elevato
nella vita dell’Associazione, in quanto sono finalizzati a raccogliere sia un
feedback diretto e approfondito sulle attività dell’AEC, sia proposte per il
futuro.
Spero di essere riuscita a darti almeno una
idea della complessità di un evento come un Congresso AEC.
Marco Zuccarini, direttore del
Conservatorio di Torino, nella
conversazione che
abbiamo pubblicato in vista del congresso AEC, faceva notare la contraddizione
che il nostro Paese è quello che ha il più alto numero di istituzioni di alta
formazione musicale (e, aggiungo io, di istituzioni socie di Aec) e un numero di
istituzioni produttive molto
basso rispetto alla popolazione, a cominciare dalle orchestre. Come si esce da
questa contraddizione?
Domanda da un milione di dollari.
Mi chiedi come curare le contraddizioni della
nostra formazione musicale nel suo rapporto con la produzione; sono
contraddizioni che hanno le radici in tempi lontani e che nei decenni si sono
incancrenite nel loro inestricabile intreccio con tanti aspetti e problemi della
nostra società, temo che nessuno abbia la ricetta.
Posso però condividere con te una mia
riflessione.
Per poter dare una medicina a un malato bisogna
prima di tutto individuare la malattia; allo stesso modo per trovare soluzioni
bisogna prima di tutto individuare i problemi.
Le orchestre sono pochissime in Italia, è vero,
ma se fossero dieci volte di più comunque non riuscirebbero ad assorbire tutti i
nostri diplomati; senza considerare che dieci volte di più le nostre orchestre
richiederebbero dieci volte di più l’attuale pubblico.
Questo potrebbe significare che noi abbiamo
troppi diplomati per poter essere assorbiti dalle tradizionali istituzioni
produttive e che non abbiamo sufficiente pubblico.
Se questo è vero, allora la soluzione andrebbe
trovata in tre diversi ambiti. Attenzione, non in uno dei tre ma in tutti e tre:
andrebbe ridotto il numero di giovani destinato alle tradizionali professioni
produttive (includerei solisti e orchestrali); andrebbe aumentato il numero di
giovani preparati alle tante nuove professioni musicali (come la progettazione del
suono, o le molte professioni legate all'informatica e alla comunicazione) e
allargate le competenze del musicista "medio" che affronterà come si dice una
"portfolio career", fatta di una parte di esecuzione o composizione musicale,
una parte di insegnamento, una parte di organizzazione o divulgazione musicale; andrebbe curata
infine lungo tutta la filiera scolastica generale la divulgazione della musica tra i giovanissimi, e favorita
la prassi musicale non professionale.
Il risultato non sarebbe, come qualcuno
potrebbe temere, uno scadimento della qualità del musicista; al contrario,
avremmo eccellenti musicisti come ce li abbiamo oggi, e forse anche migliori,
con un pubblico consistente e partecipe, e avremmo molti altri giovani che,
anche senza essere esecutori, si guadagnano da vivere, e con soddisfazione, in
ambito musicale.
Ho raccontato un sogno? Forse. Ma forse
possiamo provarci.
Novembre 2019
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