Antonio Ligios: lo stato dell'arte
Una conversazione a tutto campo
con Sergio Lattes
Antonio Ligios è direttore del
Conservatorio di Sassari e dal novembre 2017 è presidente della Conferenza dei
direttori. Docente di Storia della musica, è autore con Miriam Quacquero di
Cappelle, teatri e istituzioni musicali tra Sette e
Ottocento in: Musiche e musicisti in Sardegna,
Sassari 2005, Delfino Carlo Editore.
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La prima domanda che si fa al presidente della Conferenza è quella sullo
stato di salute del sistema.
Come direttore sono ormai al quarto mandato, e quindi
seguo le vicende del sistema, attraverso la Conferenza, dal lontano 2005. Lo
"stato dell'arte" di oggi presenta aspetti contrastanti. Con il decreto che ha
messo a ordinamento i Bienni e con il D.M. 382 che ha istituito i corsi
propedeutici, la fisionomia complessiva e la "mission" dei Conservatori sono
state in qualche modo definite. Ci sono le premesse per superare i conflitti che
i pre-accademici, con la loro incerta natura giuridica, avevano creato in certi
momenti con l'ordinamento scolastico generale – smim e licei musicali. E tutto
questo è certamente positivo. D'altro canto però non si può negare che il
sistema dei Conservatori nel suo insieme è un sistema debole. Debole in primo
luogo perché non è stata completata la riforma. Mancano due decreti attuativi
della 508 che hanno grande importanza: quello sul reclutamento e quello sullo
sviluppo e sull'armonizzazione del sistema. A ciò si aggiunga
nel sistema che
si sono recentemente collocati
gli ex istituti pareggiati, oggi
in corso di
statizzazione,
che entrano nel sistema a loro volta in una condizione di debolezza: vengono da
anni di difficoltà economiche, tagli,
eccetera.
C'è quindi la necessità di dare al
sistema un assetto diverso da quello che si è pensato finora, ma purtroppo non
vedo a livello politico l'emergere di un disegno chiaro di riassetto
complessivo.
Intendi dire che
preferiresti una nuova legge al completamento della 508?
No. La decretazione prevista dalla
508 va assolutamente completata. Il reclutamento va cambiato, e al più presto:
siamo andati avanti troppo tempo con sanatorie, graduatorie nazionali e simili.
Siamo completamente fuori dal sistema europeo per quanto riguarda il
reclutamento del personale accademico. E va fatto il decreto sullo sviluppo e
l'armonizzazione del sistema, così come previsto dalla 508.
Questo è un discorso
difficile. Forse non è un caso che questo tema sia rimasto fermo.
Certo che è difficile. Perché bisognerebbe mettere in
discussione il principio, finora mai discusso, che tutte le istituzioni – dalle
più piccole alle più grandi, da quelle di grande tradizione a quelle più giovani
– possano fare bene tutto. Non penso che questo sia realistico. Penso che
bisognerà arrivare al momento della valutazione, nonostante le riserve che
nutrono in proposito molte istituzioni. E' però un passaggio obbligato, peraltro
già insito nella 508. Quindi non penso affatto che la legge vada rimessa in
discussione, va semplicemente
attuata. E' inconcepibile che una legge sia inapplicata
dopo 20 anni: e non essendo stata compiutamente attuata, non possiamo neppure
valutarne gli effetti. Molti dei problemi che abbiamo dipendono proprio dal
fatto che la legge, dopo tanto tempo, non è ancora a regime.
Per andare alla razionalizzazione territoriale del sistema, che pure la
508 prevede, occorre un governo che abbia una grande forza politica. Si tratta
di affrontare interessi ormai radicati e consolidati.
Certo. E non solo la forza, ma
anche un disegno, una visione. Finora non si è visto, e neppure lo si è visto
dai governi precedenti. Dico un disegno abbia un orizzonte temporale, che vada
al di là dal far fronte di volta in volta alle emergenze.
In effetti la 508,
comunque la si giudichi, è stato l'ultimo tentativo di disegnare un'architettura
complessiva. Dopo, si è andati avanti con un incredibile pasticcio di leggi,
leggine, commi di leggi finanziarie, decreti milleproroghe, articoli di leggi
dedicate alla scuola generale. Con il risultato che la normativa del settore è
dispersa in una giungla normativa in cui solo pochi esperti sono in grado di
muoversi.
Ma entrando un po’ più nel dettaglio, vorrei farti
un paio di domande sul reclutamento. La prima: quando realisticamente possa
arrivare a destinazione il decreto. La seconda: visto il pregresso di
graduatorie nazionali, leggi varie di immissione in ruolo (e persone che
aspettano magari da molti anni, alcune hanno perfino cambiato mestiere nel
frattempo...), dico considerato tutto questo, quando potrebbe diventare operante
il nuovo regime di reclutamento?
Alla prima domanda: presto. Perché sulla questione incombe
una spada di Damocle, una sentenza del Consiglio di Stato che impone al Miur,
cioè al governo, di decretare sul reclutamento. In mancanza, verrebbe nominato
come commissario ad acta il prefetto di Roma. Questo ha messo in corsa la
procedura, per evitare il paradosso che la bozza ministeriale di regolamento
venga attivata o modificata da un organo che non ha competenza specifica sulla
materia. E forse può aiutare un certo interesse della politica a dimostrare che
in pochi mesi si riesce a fare quel che non si è fatto in molti anni.
Sulla seconda domanda, il testo della bozza prevede che ci
sia una sorta di doppio regime fino all'assorbimento delle molteplici fasce di
precariato "storico". Questo è forse inevitabile, ma secondo me è un vulnus al
nuovo modello che nasce, basato sui concorsi. Sarebbe forse meglio – è
un'opinione mia - approfittare del grande esodo di personale che è previsto per
i prossimi anni per liquidare definitivamente il groviglio del precariato
pregresso, e poi voltare pagina. Temo che il doppio regime, con le relative
alchimie di percentuali, crei solo confusione e contenzioso.
Oltre a queste due
questioni mi pare che ce ne sia una terza: si sente dire che ci sono due "scuole
di pensiero" nel merito del meccanismo di reclutamento.
E' così. La bozza ministeriale
prevede soltanto i concorsi di sede (ogni istituzione, sulla base di criteri
stabiliti a livello nazionale, indice i concorsi sulla base della propria
programmazione triennale). La Conferenza invece sta elaborando una
controproposta, da sottoporre alle commissioni parlamentari, in cui in sostanza
si fa riferimento al meccanismo adottato nell'Università: prima si fa
un'abilitazione nazionale, poi gli abilitati possono partecipare ai concorsi di
sede. Le istituzioni indicono i concorsi di sede attingendo all'abilitazione
nazionale, sulla base dello specifico profilo di docente di cui hanno bisogno.
Le ragioni della nostra proposta sono due. L'abilitazione
nazionale garantisce una base omogenea di valutazione, a livello nazionale, e
questo è una garanzia di qualità per tutto il sistema. In secondo luogo, il
concorso di sede senza un filtro preventivo rischia di paralizzare le
istituzioni in un procedimento molto oneroso, che potrebbe comprendere centinaia
di candidature da vagliare. Basta pensare cosa potrebbe essere un concorso di
sede per Pianoforte in un Conservatorio molto
ambìto.
Questo argomento ci
conduce inevitabilmente a un altro. L'organico dei Conservatori – il numero
delle posizioni di stipendio che il Miur paga - è bloccato dal 2000, se non mi
sbaglio. E' una coperta corta da tirare di qua o di là. L'unico strumento di
programmazione a disposizione delle istituzioni è la conversione delle cattedre
che si liberano, per quiescenza o per altro motivo. Secondo quali criteri di
politica culturale le istituzioni orientano il proprio sviluppo? Detto in
termini più brutali, è vero che ci sono casi in cui cattedre di strumenti
"tradizionali" vengono chiuse per fare spazio a cattedre Pop/Rock? E' vero che
ci sono intere istituzioni che si stanno sbilanciando in modo abnorme in
direzione – per esempio – del Jazz?
E' vero. Non posso che dirti come la penso io. In primo
luogo è una questione di equilibrio. Il Conservatorio non deve tradire la sua
funzione storica. Chiudere una classe, poniamo, di Fagotto perché ha solo due
allievi, e convertirla – che so – in Canto pop (e, sia chiaro, non ho nulla
contro il Pop o il Jazz) significa da un lato tradire la missione del
Conservatorio, dall'altro comporta il pregiudizio di altre discipline non meno
importanti – per esempio Musica da camera, o Musica d'insieme per strumenti a
fiato, o Esercitazioni orchestrali. Se hai pochi studenti in classi di strumento
che hanno forse minore appeal ma sono fondamentali per l'offerta formativa
complessiva
del Conservatorio, il tuo compito primo è fare in modo che
continuino ad esistere.
Dall'altra parte non puoi non
tener conto della domanda, che c'è, di formazione accademica sul versante del
Pop/Rock. Si tratta di trovare il punto di equilibrio. Consiglio accademico e
Consiglio di amministrazione hanno il compito di programmare lo sviluppo
dell'istituzione: bisogna che lo facciano, assumendosene la responsabilità. Lo
sviluppo dell'istituzione non può essere dettato solo dai bisogni di cassa.
La conversione di cattedre
tradizionali in cattedre Pop/Rock non avviene però solo per fare cassa. E'
avvenuto anche in grandi istituti, che non ne avevano certamente bisogno per
sopravvivere.
Perciò parlo di una domanda reale
di formazione accademica su quei settori, a cui occorre rispondere. Quello che
mi preoccupa è quando per rispondere a questa domanda si decide di sopprimere
una cattedra – in certi casi l'unica – di oboe, o di corno, o di fagotto e così
via.
Che ci sia una domanda non
basta a garantire che la risposta sia corretta. Anche la proliferazione
incontrollata dei Conservatori nell'ultimo trentennio del secolo scorso
rispondeva a una domanda reale. Ma forse non è stata la risposta corretta....
Questo mi porta a una questione collegata. Per programmare lo sviluppo di
un'istituzione non basta tener conto della domanda – che poi non cade dal cielo,
ma è il risultato dei condizionamenti culturali che vengono alle persone dalla
società. Occorre anche conoscere le concrete possibilità di sbocco occupazionale
dei propri profili formativi. Cosa sanno i Conservatori del destino
professionale dei propri diplomati dopo uno, tre, cinque anni dal diploma? Non
mi risulta che esistano dati e statistiche, salvo quelli limitatissimi di
Almalaurea.
Concordo pienamente. Con Almalaurea sto tentando una
collaborazione per pervenire a dati più significativi di quelli finora
disponibili. Ma c'è un ritardo culturale, e lo prova il disorientamento che si è
visto anche ai recenti Stati Generali indetti dal Miur, quando alle figure
apicali degli istituti è stato somministrato un questionario che comprendeva
anche il tema del placement. C'è un sostanziale disinteresse nei confronti degli
effetti dell'attività di formazione rispetto al mondo del lavoro.
Questo però è un problema. Oggi gli studenti scelgono (avviene in tutti i
campi), e scelgono sulla base della reputazione delle istituzioni. Oggi nel
sistema Afam sono presenti, ed erogano lo stesso titolo, istituzioni private
che, a ragione o a torto, hanno reputazione di eccellenza. E questo nel campo
della musica classica, e anche in quello del Jazz e del Pop. Mi sembra che
questo nuovo contesto potrebbe sospingere i Conservatori verso una china di
dequalificazione.
E' un pericolo reale. Però ha a che vedere, come dicevo
prima, con la pretesa di volere tutte le istituzioni – anche le più piccole,
anche le più fragili – fare tutto, avere tutte la medesima offerta formativa,
anziché puntare su quei settori nei quali siano effettivamente in grado di
offrire standard di qualità elevata. Alcune istituzioni lo hanno capito, e lo
fanno. Ma la tendenza generale è l'altra.
A mo’ di esempio cito Musica elettronica. Occorrono
attrezzature, software continuamente aggiornati. Una istituzione dovrebbe
domandarsi se ha la forza e le risorse per offrire in questo campo una
formazione che sia adeguata alle esigenze del mercato del lavoro. E si
potrebbero facilmente fare altri
esempi di corsi che richiedono grandi risorse, come
ad esempio Direzione d'orchestra.
Vorrei toccare anche un altro argomento. Sul nuovo assetto della fascia
pre-accademica, i nuovi corsi propedeutici scaturiti dalla legge 107, c'è stata
una sorta di rigetto, che ha portato allo slittamento di un anno. Immagino
possano esserci problemi di tipo occupazionale, certamente non tutte le
istituzioni hanno abbastanza studenti accademici da poter impegnare tutti i
docenti. Ma credo ci siano anche riserve culturali profonde, che hanno radice
della tradizione didattica. Una sorta di resistenza ad abbandonare il controllo
dell'intero percorso formativo, fin dall'impostazione del principiante allo
strumento.
Bisogna distinguere fra riserve di
diverso tipo. C'è stata una eccezione di tipo pregiudiziale, sul fatto che una
legge destinata al settore Istruzione potesse intervenire con norme cogenti su
istituti dell'Alta formazione. Poi c'è stata la pregiudiziale cui tu hai fatto
cenno, quella sulla perdita del controllo dell'intero iter formativo dello
studente di musica. E infine c'è stata, da parte di alcuni sindacati, una
riserva fondata sul timore della possibile perdita di posti di lavoro.
Per quanto
riguarda la seconda obiezione, che è quella di sostanza culturale, devo dire che
questa nuova impostazione era attesa, ed era necessaria per chiarire
definitivamente la missione dei Conservatori. Senza questa riforma, i
Conservatori si troverebbero oggettivamente in concorrenza/conflitto con
l'istruzione generale, che prevede scuole medie a indirizzo musicale e licei
musicali.
In secondo
luogo vorrei ricordare che le agenzie formative che agiscono in campo musicale
sono molte, e non sono solo quelle statali. Ci sono scuole comunali, ci sono
scuole private, c'è l'insegnamento privato individuale. Ci sono le bande,
sopratutto nel Sud, che svolgono un prezioso ruolo di formazione. Ci sono i cori
amatoriali. Tutta questa ricchezza di formazione musicale di base non viene
monitorata correttamente. Voglio dire che i Conservatori potrebbero allestire –
nell'ambito della formazione di base e di quella permanente e ricorrente –
iniziative rivolte alla formazione iniziale per quei soli strumenti che non
siano effettivamente "coperti" da quel sistema esterno e diffuso di formazione.
Quindi se dovranno esserci dei corsi diciamo così pre-propedeutici saranno per
oboe, corno, fagotto e certo non per pianoforte o flauto o chitarra.
Come
accennavo prima, dietro l'ostilità ad affidare a "terzi" il percorso iniziale ci
sono ragioni profonde che hanno radice nella mentalità e nella formazione dei
docenti di Conservatorio. Si sente comunemente lamentare dai docenti di
strumento che gli allievi che arrivano dall'esterno sono "male impostati" e
impongono al docente un faticoso lavoro di correzione, di re-impostazione allo
strumento. Dunque perché i Conservatori non si fanno centro di un sistema di
iniziative di formazione e di aggiornamento dei docenti delle scuole esterne,
proprio sui temi della impostazione iniziale, strumento per strumento? E'
davvero un sapere che non possa essere trasmesso se non nella relazione
uno-a-uno nella bottega del maestro? Penso che i docenti delle altre scuole
sarebbero felici di iniziative del genere. E che esse darebbero al Conservatorio
una funzione preziosa rispetto al territorio.
Appunto questo dovrebbe essere il
ruolo del Conservatorio nel rapporto con il territorio. E c'è un'altra questione
collegata: una delle conseguenze dell'impianto "vecchio" è una mortalità
scolastica molto elevata nel segmento iniziale. Questo perché in molte realtà il
Conservatorio è stato chiamato a rispondere a una domanda di formazione che non
trovava risposta nell'istruzione generale.
Aggiungo che il contestato decreto 382 [quello che
istituisce i corsi propedeutici, NdA] è servito a stabilire una relativa
uniformità, sul piano nazionale, dei livelli di accesso alla formazione
accademica. Pur con tutti i suoi limiti, la tabella allegata al decreto
stabilisce un minimo di uniformità laddove si erano verificati dei dislivelli
paradossali. Autonomia è una cosa, e anarchia un'altra. Il sistema non può
rinunciare a un minimo di coerenza interna.
A proposito di paradossi, ricordo che alcune istituzioni considerano il livello
di uscita del I livello come equivalente al diploma di ordinamento previgente, e
il II livello come un progresso ulteriore e diversificato, mentre altre
riferiscono implicitamente il Triennio al vecchio corso medio, e il Biennio al
vecchio corso superiore.
Appunto. Già questo è il segno di
una disomogeneità assoluta che spero sia in via di superamento. Penso che i
paletti posti dalla tabella allegata al decreto 382 possano essere un tentativo
di mettere un minimo di ordine.
Vorrei, almeno di corsa,
toccare il tema dei docenti di "seconda fascia", cioè gli accompagnatori al
pianoforte che con la riforma hanno potuto avere effettivamente mansioni di
docente. Avremo per sempre questa distinzione di fasce?
Io spero di no. C'è già una norma,
inserita nella legge di bilancio dell'anno scorso, che prevede un progressivo
(anche se lentissimo) assorbimento dei docenti di seconda fascia all'interno
della prima.
A questo
proposito, vorrei aggiungere che la Conferenza già dall'anno scorso sta
lavorando per ottenere la soluzione di un altro problema, contiguo a questo: la
necessità di creare figure di pianisti che collaborino anche con le classi di
strumento. Non si può studiare una Sonata per clarinetto di Brahms senza la
partecipazione di un pianista, per fare un esempio. Anche questa è una battaglia
culturale: questa figura è presente in tutte le accademie europee. Io penserei a
una figura distinta, svincolata dall'insegnamento: qualcosa di simile al tecnico
laureato nell'Università.
D'altro canto la funzione
docente del CODI 25, gli ex accompagnatori, è imprescindibile. Se si vuole porre
qualche rimedio all'ipertrofia del corso di Pianoforte occorre sostenere e
rafforzare quello di Pianista collaboratore. Ma quanti docenti di Pianoforte
sono in grado di insegnare ad accompagnare, a leggere a prima vista, a
improvvisare una breve cadenza se necessario? Mi assumo la responsabilità di
dire: molto pochi.
Appunto: sono competenze e abilità
specifiche, che non è detto che un pianista possegga. I Conservatori stanno
sopperendo con personale a contratto o con altri escamotage, ma di questa figura
c'è assoluta necessità.
Last
but not least. Con il vecchio ordinamento era abbastanza comune – penso a una
città come Milano che conosco meglio, ma certamente non era solo qui – la figura
dello studente di Conservatorio che prendeva un bel diploma e poi, avendo fatto
al contempo altri studi, andava a fare l'avvocato, il fisico, il notaio,
l'ingegnere. Però continuava per tutta la vita a suonare, talvolta anche molto
bene, e a fare musica da camera: da amatore. Questo tipo di amatorialità è un
polmone essenziale della cultura musicale di un Paese.
Ebbene, si ha l'impressione che il Conservatorio post-riforma, che insiste
ancora di più sul carattere professionalizzante degli studi (salvo poi non
verificare i risultati reali, come dicevamo sopra), abbia ristretto lo spazio
per questo tipo di approccio. Qual è dunque l'atteggiamento dei Conservatori sul
tema dell'amatorialità musicale?
Purtroppo
l'atteggiamento prevalente è lo scarso interesse. Nell'ambito della formazione
musicale permanente si potrebbe dar luogo a iniziative di questo tipo, anche
destinate agli adulti. Sarebbero preziose per tener vivo un vivaio del pubblico.
Ed è un terreno su cui in Italia si fa poco. Anche fra le Fondazioni
lirico-sinfoniche solo alcune sono impegnate su questo tema. E non mi riferisco
ovviamente alle matinées per le scuole, ma a iniziative specifiche per la
formazione del pubblico, che aiutino a "leggere" la musica, lo spettacolo
teatrale e così via. I Conservatori fanno poco, ed è vero che si è ristretto lo
spazio per il tipo di studente di cui parlavi. Il quale, fra l'altro, in genere
conserva per tutta la vita una straordinario attaccamento alla musica.
Quello di cui stiamo
parlando non potrebbe rientrare in quella "cosa" un po’ fantomatica che va sotto
il nome di "Terza missione"?
Secondo me
sì. La Terza missione non può essere solo la produzione, fare concerti. Anche
formare una coscienza, una cultura diffusa dovrebbe essere una "missione".
Trascurare l'importanza dell'amatorialità musicale è un atteggiamento miope,
tanto da parte nostra quanto da parte delle Fondazioni. Se non si diffondono gli
strumenti per poter "leggere", non solo in senso letterale, la musica e lo
spettacolo di teatro musicale, il rischio che si corre è l'estinzione del
pubblico.
Posso dire che il mio
Conservatorio ha messo in atto iniziative di questo tipo, ma evidentemente la
questione è di sistema. E, come spesso avviene, è anche questione di risorse. Ci
vogliono le idee, naturalmente. Ma anche i soldi.
Non posso lasciarti senza
chiederti qual è lo stato di salute della Conferenza dei direttori.
Rispondo per il periodo di mia
presidenza. Abbiamo avuto una capacità propositiva su due temi importanti
all'ordine del giorno: il decreto sui corsi propedeutici e quello sulla messa a
ordinamento del secondo livello. C'è una interlocuzione con il viceministro che
segue il settore, e con il capo-dipartimento. Posso dire che siamo ascoltati.
In
definitiva, mi sembra che i nostri compiti siano due. Quello di creare una
cornice entro cui gli spazi e gli strumenti che l'autonomia mette a disposizione
delle istituzioni trovino un minimo di omogeneità. E quello di fare proposte:
alla politica da un lato, e alla struttura del Miur dall'altro. Stiamo cercando
di fare entrambe le cose.
Marzo 2019
p.s. Di Antonio Ligios offriamo
qui>> il link a un
intervento del 2016 riportato sul blog “Conservatoristudiericerche.com”, curato
da Paolo Troncon. In questo scritto, fra l’altro, si trova una efficace
cronistoria della tormentata attuazione della legge 508/99 (riforma dei
Conservatori e delle altre istituzioni Afam).
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