I quaderni della riforma/Storici
Le risposte di
PAOLO PETAZZI
Paolo
Petazzi, musicologo e critico musicale, nato a Venezia nel 1944, ha insegnato
Storia della Musica al Conservatorio di Milano dal 1973 al 2010. Ha compiuto
privatamente studi musicali e si è laureato in Lettere con tesi in Storia della
musica. Il suo campo di studi riguarda prevalentemente la musica dei secoli XIX
e XX. È autore della prima monografia italiana su Berg (Milano 1977), di un
libro sulle sinfonie di Mahler e altri saggi, alcuni dei quali sono stati
raccolti in Percorsi viennesi e altro Novecento (Potenza 1997). Ha curato
l’edizione italiana della monografia di Adorno su Berg e ha collaborato con M.
Baroni, E. Fubini, P. Santi e G. Vinay alla Storia della musica
pubblicata da Einaudi nel 1988.
Sergio Lattes - C’è una polemica ricorrente a proposito della
prevalenza, nella cultura accademica italiana, della dimensione storica su ogni
altra, in ogni ambito disciplinare. Ovvero, estremizzando, della tendenza a
ridurre ogni disciplina alla sua propria storia. Anche nel nostro settore, per
fare un esempio, il termine “musicologia” ha stentato a farsi accettare in
Italia, incontrando diffidenza nella cultura d’ispirazione storicistica. E a
tutt’oggi la musicologia italiana è spesso considerata come quasi esclusivamente
“storica”. Pensi che questo limite esista, e che sia effettivamente un limite?
Paolo Petazzi - Non lo considero un limite, e penso che soprattutto oggi
la situazione sia decisamente cambiata: basti pensare all’ampiezza della
diffusione dell’interesse per l’analisi. La prospettiva storica non mi sembra
oggi esclusiva.
SL
Quali sono a tuo avviso i problemi specifici che il processo di riforma pone
a Storia della musica intesa come disciplina?
PP Mi sembrano di natura pratica assai più che teorica: vedo la necessità
di proporre corsi di natura “trasversale”, che coinvolgano diversi consigli di
corso
SL Il ruolo e il peso che l’ordinamento del 1930 attribuisce alla
storia della musica oggi ci sembrano insufficienti e inadeguati nella
formulazione dei contenuti. Tuttavia furono a quel tempo il frutto di una
“battaglia culturale” vinta. Infatti l’esame, con le sue famose tesi, fu
stabilito come un catenaccio senza il quale non si potesse arrivare al
compimento degli studi di qualunque strumento.
Per ottenere questo, si dovettero
superare le forti resistenze di chi opponeva l’argomento che non si potesse
negare il compimento degli studi musicali a uno strumentista di grande talento
ma di scarsa alfabetizzazione. Come dire: se è bravo, non importa che non sappia
la storia della musica.
Esiste anche oggi questo modo di pensare? E con quali argomenti si può
affrontarlo?
PP Mi auguro che la scomparsa di fatto delle tesi e degli esami basati su
nozioni apprese da manuali simili all’elenco del telefono abbia contribuito a
ridurre sensibilmente la diffusione di questo modo di pensare; ma non ne sono
certo. Conta forse di più la diffusa consapevolezza che la professione musicale
offre un futuro molto incerto, e che non ci si può limitare ad una formazione
musicale.
SL Ritieni che l’attuale corso ordinamentale di storia della musica
debba svolgersi, in tutto o in parte, nel triennio – e quindi in tutto o nella
stessa parte essere “abbonato” a chi abbia già conseguito la licenza prima di
entrare nel triennio - , oppure pensi che gli studi di storia della musica, nel
triennio, debbano essere “altri”, e quindi che l’attuale corso debba costituire
un debito per lo studente privo di licenza (salvo che dimostri una competenza
equivalente in sede di esame di ammissione)?
E in questo secondo caso, pensi che la storia
della musica nel triennio debba essere più approfonditamente sistematica, oppure
monografica, oppure invece riguardare altri campi disciplinari dello stesso
settore, come per esempio “storia delle forme e dei repertori musicali”?
PP Ritengo
1) che al triennio si debba accedere avendo
conseguito la “licenza” di Storia della musica
2) che
chi giunge al triennio senza aver fatto la prima infarinatura di Storia della
musica (insomma senza la licenza) debba recuperare nel triennio (come debito,
SENZA RICEVERE CREDITI; ma so che molti insegnanti di strumenti a fiato non
condividono questa ovvia opinione)
3) che
nel triennio, come nelle scuole superiori musicali di tutta Europa, debbano
esistere insegnamenti di carattere storico-culturale, in diverse forme. Non
penso solo ad approfondimenti (non necessariamente di carattere strettamente
monografico); ma anche a insegnamenti trasversali che hanno a che vedere con le
storie dei repertori, non intese tuttavia nel modo circoscritto degli attuali
ordinamenti. Mi spiego meglio. È possibile affidare a storici della musica
storie del repertorio di strumenti come il pianoforte, il violino, il
violoncello; ma non può essere in linea di principio contestata la diffusa
predilezione di molti Consigli di corso per una figura di
strumentista-storico-musicologo che proponga un insegnamento di natura non
esclusivamente storica. Inoltre è impensabile che bastino le forze di un piccolo
gruppo di storici della musica per coprire tutte le storie del repertorio
esistenti, strumento per strumento. Mi sembra invece necessario, per tutti,
proporre in questo ambito prospettive più ampie, come, ad esempio, corsi
trasversali su argomenti legati alla storia del quartetto d’archi, della musica
da camera per archi, o con pianoforte, o con fiati, alla storia dell’orchestra e
delle letteratura orchestrale, alle forme ecc.
SL Fra le molte lacune che la nostra formazione musicale registra
rispetto a quelle dei paesi di più forte tradizione musicale, si nota la
mancanza di una educazione all’ascolto che metta lo studente, gradatamente, in
una condizione di familiarità con i linguaggi/stili musicali del passato, e in
condizione di riconoscerne all’ascolto i tratti caratteristici e distintivi. Si
tratta di un approccio molto diffuso all’estero, e sistematicamente coltivato
fino a livelli sofisticati.
A questa lacuna nell’insegnamento si
aggiunge spesso la scarsa abitudine degli studenti, anche avanzati, a seguire la
vita musicale e concertistica. Ne risulta una conoscenza della musica asfittica,
ridotta quasi totalmente a quanto viene direttamente conosciuto in sede di
studio dello strumento; e all’ascolto di dischi, spesso anche questo limitato
alla letteratura del proprio strumento.
Pensi che Storia della musica, intesa come disciplina d’insegnamento, possa o
debba farsi carico di un approccio sistematico all’educazione all’ascolto? E che
questo possa integrare sostanzialmente il tradizionale approccio
verbale/scritto?
PP Il tema meriterebbe una riflessione approfondita, di cui non so se
sono all’altezza. Non mi sembra che un approccio sistematico all’educazione
all’ascolto possa riguardare soltanto, né prevalentemente, l’insegnamento di
Storia della musica. Almeno nella stessa misura riguarda le discipline che vanno
dal solfeggio allo studio della composizione, e forse troverebbe in tale ambito
una più opportuna collocazione di natura SISTEMATICA. Tuttavia una qualunque
lezione di storia della musica non può prescindere dalla esemplificazione con
l’ascolto, e da indicazioni almeno sommarie. Resta dal mio punto di vista
prevalente la prospettiva storica, integrata il più possibile da una
esemplificazione che si ponga anche il problema di educare all’ascolto. I tempi
per l’esemplificazione sono oggi del tutto insufficienti, e più lo saranno in
futuro se i licei musicali avranno la griglia oraria prevista dal ministero
SL Chi deve insegnare le “storie” più vicine allo strumento? Dai
decreti 90/09 (settori disciplinari) e 124/09 (ordinamento dei corsi, e
corrispondenze fra settori disciplinari e classi di concorso) si ricavano
conseguenze di non facile interpretazione.
Per esempio:
- “Storia della musica elettroacustica” (CODM/05) è attribuito ai titolari di
Musica elettronica, e non di Storia.
- “Storia
del jazz, delle musiche improvvisate e audiotattili” (CODM/06) è attribuito ai
titolari di Jazz e non di Storia.
- Del
settore “Storia della musica” (CODM/04) – attribuito ai docenti di Storia della
musica – fanno parte alcune discipline collegate agli strumenti, come “Storia
delle forme e dei repertori musicali”, “Storia della teoria e della
trattatistica musicale”.
- Ma
allo stesso tempo di tutti i settori degli strumenti (CODI/01à22)
– attribuiti ai docenti di strumento – fanno parte, rispettivamente,
“Letteratura dello strumento” e “Trattati e metodi”, e inoltre “Fondamenti di
storia e tecnologia dello strumento”.
PP Ritengo necessaria una ragionevole flessibilità, e un ripensamento
radicale della organizzazione dei settori disciplinari, inadeguata da ogni punto
di vista, non solo perché vecchia e contraddittoria, ma ANCHE perché rigida. In
termini generali cfr. la risposta alla domanda 4 [la Storia della musica nel
triennio].
(febbraio 2010) |