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I corsi pre-accademici


Una riforma sbagliata, e alcune proposte

di Roberto Perata


Non credo che la riforma voluta dal governo di centro-sinistra con la legge 508, e attuata peggio dai governi di centro-destra successivi, abbia mai mirato a un miglioramento della formazione musicale in Italia, ma semmai alla demolizione del sistema al semplice fine di dismettere i conservatori o per lo meno la maggior parte di loro.

Mi pare infatti che l’aspetto più positivo del vecchio ordinamento fosse quello di aver immaginato un percorso verticale per gli studi musicali, che come tutti ben sappiamo sono lunghi e hanno bisogno di essere cominciati molto presto, e terminati non troppo tardi. Viceversa la riforma prevede secondo me – quando tutto sarà a regime, e salvo che le nostre resistenze non riescano a produrre qualche risultato - uno spezzettamento tra scuola media a indirizzo musicale, liceo musicale-coreutico e infine conservatorio che non potrà che produrre uno scadimento della qualità e uno slittamento in avanti dell’età di conclusione degli studi, con pessimi effetti sulle carriere dei più meritevoli. Il fatto di aver voluto imitare altri ordinamenti – in particolare quello anglosassone - mi pare in questo caso del tutto negativo, avendo personalmente avuto esperienza (nei conservatori di New York) della superficialità cui spesso si assiste in quelle scuole.

Ciò di cui certamente ci sarebbe stato bisogno è un ripensamento complessivo prima di tutto dell’educazione musicale, che avrebbe dovuto essere introdotta in tutte le scuole di ogni ordine e grado (e non eliminata da tutte), ripensata nei suoi fondamenti (trovo inaccettabile che ancora oggi la maggior parte degli insegnanti di educazione musicale – laddove ce ne sono - si limitino a insegnare il flauto dolce, svolgendo in realtà un’accurata opera di diseducazione e di dissuasione dalla musica colta) e aggiornata nelle sue modalità, contribuendo a formare quel tessuto di cultura musicale diffusa e di musicisti amatoriali senza cui non può esistere il mondo dei professionisti.

Partendo da questo contesto, credo che ai conservatori sarebbe servito un rinnovamento dei programmi che tenesse conto degli ultimi cent’anni di storia della musica, tanto dal punto di vista dei repertori che da quello dei modi di fare musica, oggi evidentemente non più pensabili solo in termini di solismo, orchestra sinfonica o teatro d’opera. Ma ben altra attenzione avrebbe dovuto essere riservata secondo me anche al mondo della musica antica, i cui insegnamenti sono rimasti sulla carta, visto che la maggior parte dei conservatori italiani continua a non avere cattedre di viola da gamba, canto rinascimentale, liuto, ecc.
Succede così che l’Italia abbia perso il primato che deteneva fino agli anni ’70 nel campo della musica contemporanea, sia del tutto inesistente nel campo della musica commerciale, non sia più un posto dove studiare l’opera o la musica ottocentesca, e non sia mai stato il posto dove praticare il repertorio dei grandi italiani del Rinascimento e del Barocco, Palestrina e Monteverdi in testa.

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Vengo però ora agli aspetti del curricolo conservatoriale che secondo me più necessitano di un aggiornamento. Primo fra tutti quello dell’educazione dell’orecchio. Il vecchio insegnamento di teoria e solfeggio mi sembra del tutto anacronistico, e poco utile dal punto di vista formativo: troppo solfeggio parlato, pochissimo canto, quasi nessuna educazione all’ascolto. In questo contesto anche lo iato tra il corso di teoria e solfeggio e quello di armonia produceva pessimi risultati. Molto più utile mi parrebbe, come avviene in Germania, un corso continuativo di teoria, ritmica, percezione musicale, canto, armonia e analisi che occupi i primi sette anni su dieci dei corsi di strumento.

Inoltre questo lato della formazione musicale dovrebbe essere uguale per tutti gli studenti, abolendo anacronistiche distinzioni tra pianisti, cantanti, fiatisti, contrabbassisti ecc. Un evidente corollario di questa maggiore attenzione alla formazione dell’orecchio sarebbe poi l’estensione dell’obbligo di canto corale all’intero corso degli studi, ovviamente differenziato per fasce d’età e repertori, con un’attenzione per quelle parti del repertorio che meglio rispondono a esigenze di tipo formativo (ad esempio la polifonia rinascimentale).

Mi sembrerebbe inoltre opportuno che i conservatori – oppure altri tipi di scuola pubblica di musica che al momento solo alcune città hanno, come le scuole civiche) - offrissero corsi di attività pre-accademica (vera) rivolti alla fascia d’età che va dai tre ai dieci anni, con la possibilità di realizzare anche da noi le magnifiche esperienze di musica d’insieme per i più piccoli che da Orff in poi altri paesi hanno conosciuto; questo dovrebbe essere anche il contesto per quello che alcune scuole chiamano il “giro degli strumenti”, cioè la possibilità per i bambini di provare per qualche mese su un paio d’anni, a rotazione, strumenti di famiglie diverse. Si eviterebbe così il problema – cui si assiste ad esempio nelle attuali scuole medie a indirizzo musicale - per cui la quasi totalità dei ragazzini chiede di studiare solo pianoforte, o chiatarra o flauto (e magari qualche anno dopo sassofono): con ogni probabilità ignorano del tutto – loro e le loro famiglie - che esistono anche l’oboe, il violoncello, il corno, ecc.

Credo anche che bisognerebbe prevedere – alcuni conservatori già lo fanno - un’estensione delle discipline musicali d’assieme (“orchestra dei piccoli”, musica da camera, ecc) con l’obbligo per i tastieristi, normalmente poco coinvolti dal momento che non suonano in orchestra, a totalizzare ogni anno un certo numero di crediti nelle attività di “accompagnamento” (basso continuo, arte scenica, cantanti, accompagnamento delle classi di strumenti a fiato e ad arco).

Si parla della possibilità che i percorsi pre-accademici siano progettati in autonomia da ogni istituto. Bisognerà vedere se ci permetteranno di farlo. Tutte le riforme statali degli ultimi vent’anni vanno nella direzione di un progressivo disimpegno economico da parte dello Stato, cui paradossalmente fa fronte un sempre maggiore controllo centrale (alla faccia dell’”autonomia”, del “federalismo”, ecc). Mi pare che la questione avrebbe dovuto essere posta in temini di aut-aut: o lo Stato si assume tutti gli oneri finanziari, provvedendo adeguatamente alle necessità, e poi controlla e ordina come gli pare, oppure se ne lava le mani (come oggi), ma allora ci lasci fare. Spieghiamolo a Bondi e alla Gelmini.

Ciò detto, l’autonomia sarebbe una gran cosa, ma dovrebbe seguirne l’abolizione del valore legale dei titoli di studio: le differenze di qualità tra scuola e scuola devono essere premianti sul piano professionale, non penalizzanti (a scuole di difficoltà diversa non possono corrispondere titoli uguali).

Infine, come spiegato sopra ritengo quella del liceo una pessima riforma, e perciò non credo che i licei musicali possano assicurare la completezza dell’ambiente musicale che si respira(va) nei conservatori. Né tantomeno che questi ultimi debbano adeguarsi ai contenuti e all’assetto del liceo.

In conclusione. Compiuto il misfatto (l. 508) andrebbe almeno eliminata l’incompatibilità tra trienni, e tra trienni e università. E’ assurdo che oggi non si possa più studiare il violino e la viola contemporaneamente, o pianoforte e composizione, o flauto e biologia. L’argomento che in fondo anche all’università vige lo stesso divieto è ridicolo, evidentemente non tiene conto delle peculiarità degli studi musicali e delle pochissime chances di lavoro e carriera che il settore, grazie alla lungimirante politica culturale di tutti i governi degli ultimi trent’anni, offre.


Roberto Perata ha condotto gli studi musicali presso il Conservatorio di Genova, diplomandosi in composizione, direzione d'orchestra, organo e composizione organistica, pianoforte, musica corale e direzione di coro. Si è inoltre laureato in Giurisprudenza presso l'Università di Genova e in Musicologia e beni musicali presso l'Università di Venezia. Svolge attività di direttore d’orchestra; è maestro collaboratore al Teatro alla Scala e docente presso il Conservatorio di Genova e il Civico Liceo Musicale di Varese.

(dicembre 2010)

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