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sei in: DIDATTICA>I CORSI PRE-ACCADEMICI

La riforma dei corsi pre-accademici:
un'opportunità da non mancare


di Sergio Lattes
 

Per fare la riforma della parte alta del curricolo ci sono voluti una miriade di decreti (e non sono ancora finiti...), linee guida, approvazioni del Cnam e del Ministero di ogni percorso formativo.

Ecco che invece sui corsi pre-accademici – cioè su tutto ciò che precede il Triennio, fin dall’inizio degli studi musicali – ogni Conservatorio potrà procedere per suo conto. Con l'approvazione dei regolamenti didattici, le norme transitorie del DPR 212/05 (art. 14) prevedono l'abolizione di compimenti e licenze.
 

La riforma dei corsi pre-accademici si fa in completa autonomia...

E se - da un eccesso al suo opposto! - per fare la riforma dell’alta formazione ci sono voluti dieci anni di sperimentazione (con l'enorme disagio di far coesistere due o anche tre ordinamenti paralleli), ora per i corsi pre-accademici si fa tutto in una manciata di settimane.
Solo alcuni istituti hanno lavorato da tempo a un progetto complessivo. Molti altri lo stanno facendo a cavallo del periodo estivo (fra questi c’è anche Milano).
 

e, per alcuni, in gran fretta.

Il bello dell’autonomia, si dirà. Ma una cosa è l’autonomia e un’altra l’autarchia. Se ciascuno procede per suo conto, senza conoscere l’elaborazione degli altri, e per di più in fretta, si rischiano molte scoperte dell’acqua calda. Più ancora, si rischia che un’occasione storica (una riforma dopo 80 anni!) si riduca a un modesto aggiustamento di repertori dentro un impianto vecchio, senza un confronto di ampio respiro che chiami i docenti a ripensare se stessi e la scuola.
 

E’ importante sapere quello che fanno gli altri, e far circolare i progetti.

La documentazione che è offerta nel dossier in questa sezione del sito è uno strumento per far circolare e confrontare le idee e le proposte. Vi si offrono i progetti organici di rimodulazione dei corsi pre-accademici che, ad oggi, risultano elaborati e resi disponibili pubblicamente da Conservatori e da Istituti musicali pareggiati. Man mano che se ne renderanno disponibili altri, li aggiungeremo.
Quello che salta subito all'occhio è che tutti hanno messo mano non solo ai programmi, ma all'architettura disciplinare del curricolo.

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Abbiamo messo in un dossier i progetti che sono disponibili.
Tutti prevedono una nuova architettura disciplinare.

La “rimodulazione” dei corsi pre-accademici avrebbe meritato una discussione collettiva e nazionale. Questa parte del Conservatorio non è stata finora toccata dalla riforma. Ci sono state sperimentazioni locali, limitate ai programmi. Solo nei licei interni ai Conservatori (oggi 3 salvo errore) si sono potute fare sperimentazioni “di struttura”, che toccassero cioè l’assetto disciplinare del curricolo. Per il resto l’impianto della didattica dei Conservatori italiani è in linea di massima quello del 1918/1930.
 

I corsi “pre-accademici” sono ancora, in linea generale, quelli del 1930.

Con le sue criticità, che tutti conosciamo. Se le sperimentazioni degli anni '70 hanno sensibilmente aggiornato i programmi dello strumento in molti istituti, oggi appare particolarmente critica l'architettura della formazione musicale generale. Cioè l'insieme delle discipline che furono definite complementari; e la loro disposizione nel curricolo.

In breve. La teoria è limitata ai primi tre anni. I suoi contenuti – fatte salve le sperimentazioni locali – sono anteriori alla maggiore pedagogia musicale del ‘900, che per l’Italia fascista aveva il difetto di essere straniera.
 
Lo studio dell’armonia – sia sul versante analitico sia su quello esercitativo - è separato dalla pratica strumentale e dall’ascolto, con il rischio di ridursi a un formulario astratto. Si riferisce esclusivamente all’armonia tonale, nell’assenza di ogni prospettiva storica. Ed è confinato in soli due anni di studio. E’ assente, nel vecchio Conservatorio, l’idea che ogni musicista debba conoscere e praticare alcuni elementi-base di composizione e di analisi.

Lo studio della storia della musica è anch’esso confinato in due (nel migliore dei casi tre) anni, e non comprende la pratica dell’ascolto e del riconoscimento. Anche qui, ovviamente, salve le lodevoli eccezioni e sperimentazioni, che però non fanno sistema.

E ancora: la prassi della coralità è limitata in genere alla parte bassa del curricolo, come una noia da principianti. La musica d’insieme è invece presente solo nella fascia alta del curricolo (a parte le sperimentazioni), e comunque senza esame.
E via elencando.

Tutto questo - se non bastasse l'evidenza del confronto internazionale - conduce alla diffusa percezione dei docenti di strumento, che spesso si trovano a combattere con carenze “strutturali” dell'allievo. In particolare con le sue frequenti difficoltà a riconoscere e ad attuare, nel concreto dell'ascolto e dell'esecuzione, conoscenze e abilità che ha acquisito in forma teorica nei corsi “complementari”, cioè nella formazione musicale generale.

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Le criticità, specie nella formazione musicale "generale".

E i loro riflessi sullo studio "principale".

Nel frattempo, seppure timidamente, all'esterno le cose sono cambiate.  Fra mille difficoltà le scuole medie a indirizzo musicale si sono radicate (oggi sono circa un migliaio) ed è nato, o meglio sta nascendo il liceo musicale. E’ ben vero che quest'ultimo parte con una dimensione talmente ristretta - una manciata di sezioni in tutt’Italia – che si può definire sperimentale. Ma nasce dotato di un curricolo e di un impianto disciplinare che sono il frutto di una lunga elaborazione, e sono profondamente cambiati rispetto a quelli del Conservatorio.
In più alcune regioni (Lombardia in testa) ospitano anche il patrimonio d’esperienza didattica delle scuole civiche. Ciascuna delle quali ha in genere un canale di preparazione al Conservatorio, e alcune fra loro hanno rinnovato in profondità il curricolo. 
 

Un panorama articolato: scuole medie a indirizzo musicale, liceo musicale, scuole civiche. Nuovi curricoli.

Inevitabile, dunque, che i Conservatori nel “rimodulare” i propri corsi pre-accademici tengano conto di questo universo d’esperienze. Comune denominatore ne è il rinnovamento della formazione musicale generale, che accompagna tutto il curricolo. Non solo aggiornamento di programmi dunque, ma di obiettivi, metodi, confini e relazioni fra le discipline.

E' in gioco in qualche modo il superamento del carattere "complementare" delle discipline che compongono la formazione musicale generale. Uno strumentista o un cantante - foss'anche un virtuoso - non può essere inconsapevole della grammatica e della sintassi, del senso storico e sociale, del significato umano di ciò che suona. Non può cioè non essere un musicista.

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Nel riformulare i corsi pre-accademici, i Conservatori dovranno tener conto delle nuove realtà.
Specie per le materie della formazione musicale generale, che vanno a perdere il carattere "complementare".

E’ assolutamente necessario evitare che in questa fase di "riordino" si crei una contrapposizione fra discipline principali e discipline della formazione musicale generale: le une preoccupate di conservare la “centralità dello strumento”, le altre protese ad affrancarsi dalla propria “complementarietà”.

I docenti di strumento sono invece profondamente interessati all’ammodernamento della formazione musicale generale. In particolare hanno bisogno di allievi che abbiano acquisito

- lettura efficiente,
- stabilità ritmica,
- orecchio educato a riconoscere suoni e accordi,
- capacità di “cantare internamente” la musica che leggono, e magari anche un po’
  di cantarla “esternamente”;
- capacità di riconoscere nell’ascolto e nell'esecuzione allo strumento i nessi
  principali del discorso armonico,
- conoscenza della musica al di là del proprio strumento,
- capacità di riconoscere all’ascolto i connotati storici e stilistici di un brano,
- consapevolezza del significato umano (storico, sociale e quant’altro) delle musiche
  che suonano e ascoltano.

Per andare in questa direzione è necessario suscitare una forte partecipazione intellettuale dei docenti, e trovare un corretto metodo di lavoro. Le discipline della "formazione musicale generale" devono parlare fra loro, coordinarsi per un progetto comune di educazione musicale. E devono parlare alle discipline "principali" per interagire con i loro percorsi e i loro obiettivi formativi, anziché rimanere come cenerentole confinate in cucina a cucinare una minestra sempre uguale.

Si tratta di disegnare appunto un nuovo curricolo, che sia condiviso fra docenti di strumento e docenti della formazione musicale generale, nel quale si possano ridefinire i confini e le relazioni fra le discipline, insieme con gli obiettivi comuni che danno senso all’articolazione disciplinare stessa.
 
 

Evitare il conflitto fra discipline principali e ex complementari. Occorre un dialogo fra le discipline trasversali fra di loro, e con le discipline “principali”.

Per avvicinarsi a questo obiettivo, il modo giusto non è quello di limitarsi a chiedere ai docenti di ciascuna disciplina di riformulare o aggiornare i propri programmi, senza aver formulato un progetto didattico comune entro cui collocarli e dar loro senso.

E non sono le regole esteriori e burocratiche – periodizzazione del curricolo, limiti di età, esami di promozione e di conferma sì o no, presenza o meno dei privatisti, propedeuticità degli esami – che possono generare un progetto didattico.

Lo è (se si è capaci di suscitarla) una riflessione collettiva e vera sul rinnovamento della scuola musicale, una riflessione che coinvolga in modo anche trasversale tutte le competenze, cioè tutti i docenti, in un ripensamento del curricolo oltre la struttura del corso in cui siamo cresciuti da allievi, e cui siamo abituati da docenti.

Un progetto che ovviamente difenda e comprenda, come nel caso di Milano, le sperimentazioni storicamente acquisite, ma le inserisca in un quadro che riguardi tutto il Conservatorio (non solo il liceo) e tutte le discipline.

A Milano - come probabilmente in altri istituti che non hanno progettato per tempo - non sono state ancora create le condizioni per il dispiegarsi di questa riflessione collettiva. E' per questo che occorre pensare il "riordino" dei corsi pre-accademici come un processo di sperimentazione che inizia con quest'anno 2010-11, e deve avere un suo calendario e le sue verifiche. Per fare un'ipotesi: un triennio.

Se viceversa a ciascuno sarà chiesto soltanto di formulare programmi in pochi giorni, ciascuno continuerà a ragionare dentro le logiche cui è abituato, e il nuovo nascerà simile al vecchio.
O magari anche peggio. Almeno, lì c’era la mano di Casella.  

Dove non ci sarà tensione progettuale, e forte partecipazione dei docenti, si produrrà una brutta copia del vecchio.

(agosto 2010)

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